di Riccardo Cavrioli………indie-rock.it
Ricordi sparsi degli Ash datati metà anni ’90: un live incendiario trasmesso da ‘Planet Rock’ (storico programma radiofonico di Radio Rai), datato 1994 o inizio 1995, che fu la consacrazione di quanto di buono ed esaltante avevo già sentito in ‘Trailer’ (il primo mini-LP della band); ‘Kung Fu’ trasmessa da John Peel a BBC Radio e io fuori di testa che menavo fendenti nell’aria neanche fossi Jackie Chan; il video di ‘Oh Yeah’ con il bassista Mark che ci da dentro di lingua con una tipa e Tim che si prende un sacco di acqua mentre Rick ha degli occhiali neri per tutto il pezzo ; un live italiano in un posto dimenticato da Dio, in provincia di Bologna, a Crespellano (ci arrivai addirittura con il pullman), chiamato Kilowattore e la comparsata, nel pomeriggio, dal solito Red Ronnie; il concerto degli Oasis al Palalido di Milano nel marzo del 1996 e mentre sto uscendo, sudato e senza voce, mi vedo i tre Ash seduti tra il pubblico e io come un centometrista vado controcorrente per farmi le foto con loro e Tim che se la ride di brutto; l’emozione di sentire ‘Goldfinger’ per la prima volta, da restare senza fiato perché il brano era (è!) bellissimo e dimostrava come gli Ash fossero ben capaci di andare oltre il concetto di pop-punk…
Cosa lega tutto questo? Beh, ovviamente ‘1977’, l’album d’esordio dei giovanissimi irlandesi Ash che nel maggio 1996 esplodeva in tutta la sua carica (post) adolescenziale. Il passo in avanti rispetto al precedente mini-LP è incredibile: non più solo colpi da KO, ma anche brani più riflessivi, arrangiamenti d’archi, la voce di Tim che sa farsi anche dolce e carezzevole, insomma Owen Morris (che tutti conoscevano per il suo lavoro con gli Oasis) prendeva questi ragazzini e li faceva diventare musicisti, senza far perdere loro niente dell’esuberanza e della carica giovanile, che effettivamente traspare senza soluzione di continuità (arrivando addirittura a farci sentire i tre impegnati a spassarsela mentre provano a vomitare in allegria in ‘Sick Party’). E se ‘Lose Control’ picchia duro, ‘Innocent Smile’ è sporca e sonica, quasi grunge e ‘Gone The Dream’ è la ballatona con tanto di archi ma con l’assolone clamoroso. Cosa chiedere di più in quegli anni con il brit-pop che bussava ad ogni porta? Niente. Era il disco perfetto e, sia chiaro, lo sarebbe anche senza la trionfale ‘Girl From Mars’ che rimarrà per sempre il gioiello più brillante della collezione, ma non il più prezioso!
Ovviamente il mio consiglio non può che essere, se ancora non avete l’album o se la avete ma siete degli inguaribili completisti come il sottoscritto, quello di puntare decisi sulla riedizione dell’album, quella con ben 3 CD, che contiene tutta la summa dei primi Ash: senza ombra di dubbio uno di quei lavori che è un dovere avere nella propria collezione.
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