da indie-rock.it
Premessa per chi negli ultimi 12 mesi fosse stato su Marte. I Rolling Stones hanno compiuto 50 anni. Per celebrare il glorioso anniversario hanno intrapreso un tour, l’ennesimo, che li ha portati sul finire del 2012 a Londra e New York per poi intraprendere un lungo giro americano. Ma la parte più fragorosa è stata quando, sul finire di giugno, sono tornati a casa, in Inghilterra. E non sono tornati in due posti qualsiasi. Prima infatti sono stati headliner, per la prima volta nella loro storia, al festival di Glastonbury e Michael Eavis li ha giudicati i migliori di sempre. Poi il 6 e il 13 luglio, si sono esibiti a Londra ad Hyde Park. Seconda premessa per chi fosse a digiuno di storia. Gli Stones non tornavano in quello che è uno tempi della musica inglese dal 5 luglio di 44 anni fa e fu un concerto molto particolare: Brian Jones, già fuori dal gruppo, era morto due giorni prima e, davanti a una folla oceanica (il concerto era gratuito) Mick Taylor si esibì per la prima volta da Stone. Mick Jagger lesse una poesia di Shelley in memoria dell’amico e farfalle bianche vennero liberate sulla folla mentre il concerto iniziava. Questo per rendere l’idea di cosa quel concerto abbia rappresentato nella storia della band. E dell’attesa che le date di luglio hanno suscitato.
E’ uscito a novembre il documento filmato (in dvd, bluray, cd, vinile: insomma, come volete) che riassume il meglio di queste due memorabili date. Perché memorabili, direte voi: l’ennesimo concerto di quattro settantenni, arzilli per carità, cosa mai potrà aggiungere alla storia leggendaria di un gruppo che leggenda lo è per definizione? E invece queste due date resteranno nella storia della band e in quella personale di chi era presente, come il sottoscritto. Il dvd aiuta a capire il perché, iniziando con ampie panoramiche proprio di Glastonbury che scorrono sulle voci dei protagonisti che raccontano quanto sia stato bello, e giusto, suonare finalmente in quello che oggi è il più grande festival inglese, per poi introdurre il concerto di Londra.
E poi eccolo il concerto, che si apre con ‘Start Me Up’, con le dovute correzioni all’intro che Richards aveva, ehm, reinterpretato. Le immagini con cui si apre lo show sono spettacolari, soprattutto quelle alle spalle della band che rendono l’impatto che dal palco si ha del pubblico, della splendida (e caldissima!) giornata che Londra regala ai suoi figli più geniali e scapestrati. La folla (65.000 persone, sold out manco a dirlo) vestita con magliette colorate e un po’ sbiadite dei vecchi tour, il sole al tramonto e il palco, costituito da due enormi alberi che sembrano racchiudere una caverna al cui centro è posto il palco, tratteggiano un quadro di una luminosità e vividezza che nessuna luce di scena o effetto speciale potrebbe in alcun modo eguagliare.
La scaletta si dipana sui grandi successi della band, è una festa, tutti devono partecipare. La band è in magnifica forma, Mick Jagger è scatenato e la voce regge benissimo per tutto il concerto, supportato da un gruppo compatto dove spicca Ronnie Wood che spalleggia alla grande il vecchio Keith che, sornione, spara i riff che scatenano il pubblico. I pezzi, soprattutto all’inizio, sono suonati con una vena molto blues del solito e vengono allungati fino a che il famoso tappeto di chitarre, il basso di Darryl Jones e la batteria di Watts, le mosse e la voce di Jagger saturano l’aria, sospinte dai fan che sono rapiti e avvolti da essa, come testimoniano le riprese, pur non scadendo nel patetico tipico di certi film live. Musicalmente i momenti altissimi sono tanti, da una ‘Paint it Black’ (suonata tra le prime ma tra le bonus track del dvd) lenta e oscura come forse era stata pensata in origine. Oppure quando sale sul palco Mick Taylor – e il tempo sembra tornare indietro a quello che successe in quella villa di Nellcôte – ed esce una ‘Midnight Rambler’, tirata, lunghissima che innalza e abbassa la folla ondeggiante.
Ancora quando le luci vanno su Keith Richards, che, con al fianco Wood, canta una ‘You Got The Slver’ che è una lectio magistralis su cosa significhi essere un bluesman. C’è spazio anche per l’amarcord, con Jagger che su ‘Honky Tonk Women’ esce con un kimono bianco come nel ’69, come ricorda la voce fuori campo del protagonista che insieme ai soci di una vita intervalla piacevolmente (e il giusto) il fluire dello spettacolo. La chiusura è un crescendo che culmina nell’assolo di Richards durante ‘Simpathy for the Devil’ che basterebbe solo quell’attimo, quel momento perfetto, quelle note elettriche che saltellano diaboliche a giustificare tutto questo mescolio di visi estatici. Per non parlare del suo frontman con il mantello di piume nere e la coda ferina. O forse quest’ultima ce la siamo solo immaginata.
I bis sono due: si inizia con un coro intero (!) che introduce ‘You Can’t Always Get What You Want’, e Mick Jagger che cammina sulla pensilina lentamente, fendendo la folla e scandendo altrettanto lentamente il testo, fino a farlo diventare un mantra avvolgente. Si chiude con ‘Satisfaction’, con quel riff che Richards si è sognato e che noi ci godiamo da decenni, che è l’ABC del rock ‘n roll. La band è un turbine, Jagger sul palco si scatena e sembra non voler più smettere di cantare, torna il satiro che era a vent’anni e che, in fondo, non smetterà mai di essere. Per fortuna. Chi è ai piedi del palco, sotto il cielo ormai buio, non finisce più di batter le mani, di gridare, di commuoversi e di rendere omaggio a quei due, a quel gruppo, che non smette di essere la viva, vivissima testimonianza di quanto la musica possa essere importante, di come possa cambiare la vita di chi la ascolta. E’ questa la magia, è per questo che gli Stones a Londra, ad Hyde Park il 6 e il 13 luglio, hanno scritto un’altra pagina di storia.
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