ECCO MUSICALNEWS COSA CI RACCONTA
Il 6 Novembre i due artisti si sono ritrovati sullo stesso palco per confermare il loro impegno contro la guerra, contribuendo a raccogliere fondi per chi ne ha subito le tragiche conseguenze. Proposta anche Imagine di John Lennon.
L’America non dimentica. L’11 settembre ha lasciato delle ferite molto profonde nella nazione e sono numerose le attività di raccolta fondi che si svolgono da una costa all’altra degli USA. Da qualche anno è stata istituita la Fondazione Bob Woodruff, che insieme al New York Comedy Festival organizza una raccolta fondi con cui sostiene e cerca di guarire le ferite fisiche ma anche psicologiche di tutte le persone che erano in servizio quel giorno al World Trade Center ma anche tutti i militari feriti in altri atti terroristici e le loro famiglie. Woodruff è un giornalista del canale televisivo ABC, che si trovava in Iraq per lavoro nel gennaio 2006 quando fu gravemente ferito dall’esplosione di una bomba, alla quale è miracolosamente sopravvissuto dopo trentasei giorni di coma. Da quel momento il giornalista si è preoccupato di aiutare le vittime di incidenti simili, organizzando ogni anno a tale scopo una manifestazione intitolata “Stand Up For Heroes”, la cui settima edizione si è svolta il 6 novembre 2013 con una serata pubblica all’interno del Theater del Madison Square Garden di New York City. Le immagini dell’evento sono state trasmesse in diretta grazie a Google+ e a un canale istituito per l’occasione su YouTube.
Dal momento della sua istituzione, la Bob Woodruff Foundation ha raccolto oltre 16 milioni di dollari, a cui si vanno ad aggiungere gli oltre 5 milioni raccolti grazie all’edizione 2013 che si è divisa tra celebrazioni, comicità e musica. Come testimoniato all’inizio della serata dalla moglie del giornalista Lee Woodruff, le risate e la musica possono infatti aiutare a guarire.
I protagonisti musicali scelti per questa edizione sono stati non a caso due personaggi molto schierati politicamente, due artisti la cui credibilità non è assolutamente in discussione e che rispondono al nome di Bruce Springsteen e di Roger Waters, il primo è attivo sin dalla prima edizione, mentre il secondo (che ha perso suo padre e suo nonno in guerra), ha bissato la sua partecipazione del 2012.
Ad allietare i presenti, che hanno sostenuto la causa pagando un biglietto d’ingresso di 250 dollari (non c’erano biglietti invenduti, a dimostrazione di quanto la serata fosse sentita dal pubblico), sono intervenuti anche un esercito di attori e comici come Bill Cosby (un veterano della marina), Jerry Seinfeld, Jim Gaffigan e Jon Stewart. Tra le testimonial della serata anche Michelle Obama, la moglie del Presidente degli Stati Uniti.
I veri protagonisti della serata sono stati quei feriti che hanno affollato la sala, che con le loro testimonianze sul palco ma anche semplicemente con la loro presenza tra il pubblico hanno dimostrato che solo con la tenacia e con il coraggio si può sopravvivere a questo tipo di tragedia.
Roger Waters, il primo ad esibirsi, è arrivato sul palco con la sua divisa ufficiale degli ultimi anni, cioè pantaloni e t-shirt nera. Ha presentato tutti i musicisti che lo avrebbero accompagnato dal vivo, una ventina di cantanti e musicisti provenienti da ogni ramo delle forze armate statunitensi, che erano rimasti feriti in servizio, tra cui la band della Musicorps Wounded Warrior dell’ospedale militare Walter Reed di Bethesda (Maryland).
Per l’esibizione Roger ha chiamato al suo fianco tre dei suoi fidi musicisti del “Wall Tour”, il tastierista Jon Carin e i due chitarristi Dave Kilminster e G.E. Smith, presentando una scaletta che ha riservato alcune sorprese. L’introduzione è stata riservata alla cover di “Halleluja”, il classico del cantautore canadese Leonard Cohen, un brano che fu snobbato quando esordì nel 1984 come b-side di un singolo, giungendo al recente successo grazie alle numerose versioni cover (la più famosa è quella di Jeff Buckley, probabilmente più conosciuta della versione incisa da Cohen) e alle innumerevoli colonne sonore di film nei quali è stata utilizzata.
Waters imbraccia la sua chitarra acustica e lascia volentieri il microfono a Timothy Donley, un giovane militare sopravvissuto ad una bomba in Afghanistan nel febbraio 2012, che aveva già eseguito in passato il brano, come testimoniato da alcuni video pubblicati su Youtube. Lo storico basso Fender nero viene gentilmente ceduto da Waters nelle mani di un incredulo ragazzo costretto a vivere su una carrozzina.
Per il secondo brano si pesca ancora nel territorio delle cover e questa volta la sorpresa è grande in quanto Waters si cimenta con “Imagine”, il classico di uno dei suoi artisti preferiti, John Lennon.
Waters, che nel 1985 aveva già inciso una versione in studio di “Across the universe”, brano dei Beatles scritto da Lennon nel 1969, si è sempre dichiarato un grande fan dell’artista di Liverpool. Nonostante questo e nonostante “Imagine” sia una canzone tra le più conosciute in tutto il mondo, Waters ha dovuto far ricorso ad un foglio sistemato su un leggio per poter seguire il testo…
Ancora una cover per il terzo brano presentato da Waters, tratta dal repertorio di Sam Cooke e la sua celebre “A change is gonna come”, la cui esecuzione non era ovviamente nelle possibilità vocali dell’ex Pink Floyd che si è limitato ad accompagnarla con il suo basso, lasciando il microfono alla fantastica voce del marine JW Cortes.
La scelta del brano non è stata ovviamente casuale. Registrato da Cooke nel 1963 e pubblicato nel 1964 dopo la sua morte, era un inno dal carattere fortemente simbolico negli anni Sessanta in quanto inneggiava ai diritti civili degli afroamericani e che fu considerata come una sorta di risposta alla celebre “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan.
La chiusura è affidata a “Comfortably numb”, dove le originali parti vocali di David Gilmour vengono adeguatamente cantate dal soldato Donley. Questa volta niente muri, niente proiezioni e nessun effetto speciale sul palco e il buon Kilminster si deve accontentare di doverla suonare stando in mezzo agli altri musicisti! Purtroppo i suoi due assolo sono stati rovinati da alcuni problemi di audio che ne hanno impedito il perfetto ascolto, un disastro tecnico che si è esteso in diversi momenti della loro performance.
Prima di abbandonare il palco, Waters ha chiamato in fila tutti i musicisti che avevano già lasciato il palco per un commovente inchino davanti al pubblico in visibilio.
Archiviata la performance di Waters, il pubblico ha cominciato a chiamare a gran voce Springsteen, con i soliti “Bruuuuuuuuuce” che arrivavano da ogni angolo della sala. E Bruce fu. L’eroe del New Jersey sale sul palco quasi a fine concerto, scherzando con il pubblico, arrivando addirittura a raccontare delle barzellette ‘spinte’ tra un brano e l’altro per rendere l’atmosfera ancora più cameratesca. L’artista si è presentato da solo sul palco eseguendo un set acustico in cui ha suonato “Dancing in the dark”, seguito da un duetto con la moglie Patti Scialfa per “If I should fall behind” tratto dal suo album “Lucky Town” del 1992 ed infine la cover del brano “Dream baby dream”, una composizione del duo americano dei Suicide.
La proverbiale generosità americana si è confermata anche in questa occasione, quando il Boss ha contribuito personalmente alla raccolta fondi mettendo all’asta una sua chitarra che è stata battuta per ben 250mila dollari. In realtà le offerte avevano raggiunto i 140mila dollari quando il boss è intervenuto per alzare la posta, aggiungendo alla chitarra anche una lezione privata di chitarra di un’ora, una visita al suo studio di registrazione e persino le lasagne fatte in casa da sua madre!
Il fine giustifica i mezzi e quando si tratta di metterci il cuore, Bruce Springsteen e Roger Waters si trasformano da semplici musicisti in veri e propri eroi.
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