La nuova stella del pop elettronico potrebbe brillare della luce gelida del Nord Europa. Arriva infatti dalla Norvegia Sandra Kolstad, cantautrice giunta al secondo album con (Nothing Lasts) Forever e già definita in patria la nuova regina dell’electronic pop.
Un disco di 13 brani in cui le atmosfere notturne e cupe non si fanno certo desiderare, ma che, come il più tipico cielo polare, è anche illuminato dai riflessi iridescenti dell’aurora, uno sciame di flash luminosi, numerose scie multicolori e fluorescenti.
L’iniziale The First Deception (The First Guarantee) è impregnata delle fredde ombre di un elettro pop darkeggiante, così come la seguente e pulsante Kyrie (Elysion) .
Ma la svolta è dietro l’angolo. Con The Young (Evil) Woman And The Ocean ci ritroviamo all’improvviso circondati dai led intermittenti di un dancefloor, e così vale per Discovery (Every Part A Part Of The Picture).
Non parliamo poi di Run Away (Where Are We), primo singolo, giocherellona e dal tiro decisamente easy (nonostante un video non proprio all’aqua di rose). Vagamente vintage e ispirate agli anni ’80 sembrano le sonorità di (Don’t Ask) Right Now, indubbiamente il pezzo più scintillante dell’album.
Si ritorna pesantemente in territorio dance con la caotica Pure (And Punished), mentre The Edge rappresenta un altro momento di svago.
A chiudere, la minisuite in due tempi dedicata al Titanic: dopo una prima, breve parentesi sperimentale che sembra arrivare dritta dritta dalla penna di Bjork, ecco tornare la glaciale inquietudine dell’inizio, questa volta venata da una certa malinconia (We are drown in slowly drowning / we fall where we used to fly), che lascia poi spazio a un’ultima scossa. Giusto il tempo per mostrarci i bagliori finali della notte.
(Nothing Lasts) Forever ci presenta una gradevole declinazione di elettro pop, fatta di reminiscenze vintage, attinte in particolare dalla disco anni ’80 e dalla dark wave, e frequenti incursioni nella dance.
Certo, in alcuni momenti la Kolstad si avvicina troppo pericolosamente a certe sonorità di Robyn (pure lei scandinava), ma questo mix di luci e ombre si rivela intrigante e regala un album che non fatica a farsi gustare fino in fondo.
MYWORD.IT
Related Articles
No user responded in this post
Leave A Reply