“Volevo registrare della musica che fosse sul mio radar personale prima di aver composto io qualunque cosa o addirittura, in alcuni casi, prima che prendessi in mano uno strumento. Sono tutti temi che hanno qualcosa di speciale a livello musicale, comunque li si possa giudicare. Tutta musica che in un modo o nell’altro mi è entrata dentro.”
Pat Metheny ama fare il piacione ma in quest’album sembra sincero, mentre con gesti calmi e meditati torna a certi posti delle fragole della sua educazione musicale: canzoni non necessariamente jazz, anzi, volentieri rubate a ricordi radiofonici di quando era ragazzino nel natio Missouri e (qui c’è la conferma) si mostrava più interessato al pop e alla canzone che non al rock. Sono temi con belle melodie, luminose stringhe di accordi ripuliti con amore e stesi per lo più su una chitarra baritono (ma ci sono anche umili acustiche e una favolosa 42 corde che suona come una cetra del Giudizio): vecchi hit dei più educati anni 60 (The Sound Of Silence, And I Love Her), frequentatissimi standard jazz (Garota de Ipanema), colonne sonore che hanno fatto la storia (Alfie).
L’incidere qualche volta è un po’ sussiegoso, il gusto dolce, troppo dolce, ma colpiscono la cura e l’attenzione del vecchio ragazzo con quei cimeli del suo tempo perduto, tutti, anche i più umili: come Cherish, dimenticata canzonetta degli Association mandata a ballare uno struggente ultimo valzer sul carillon dei ricordi.
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