BEL DISCHETTO, LO CONFERMA ANCHE NDIE ROCK!
Joan As Police Woman: The Deep Field (2011)
“Non dico che ce lo ricorderemo a lungo, ma dico che non ne faremo volentieri a meno”
di Paolo Marchiori
il giudizio: 8/10
GENERE: indie-soul elettronico.
PROTAGONISTI: assolutamente al centro di tutto, Joan Wasser; Parker Kindred alla batteria e cori, Tyler Wood ai tasti, Timo Ellis alle chitarre, Chris Brown al clavinet e Nathan Larson al basso e cori – anche se non in tutti i pezzi.
SEGNI PARTICOLARI: sonorità R&B per il ritorno di Joan alla vita ed alla gioia di viverla: dopo il tristanzuolo e meditabondo ‘To Survive’ (2008) recupera l’energia spensierata di ‘Real Life’ (2006). Ottima colonna sonora per una notte di passione!
INGREDIENTI: suoni pieni, saturazioni, melodie accattivanti, ritmi che smuovono; poca originalità forse, ma un disco davvero divertente e sensuale. Molto ‘70s, un po’ blaxpoitation ogni tanto se vogliamo, ma con certi trademark di Joan oltre alla sua voce, accento e stile vocale inconfondibili. Tamburi pigri, organi saturi, e il marchio di fabbrica di quei brevi ‘vuoti’ strumentali in cui solo la voce tiene appeso l’orecchio dell’ascoltatore: questo è quel che ci è sempre piaciuto della sua musica, e questo lei ci dà .
DENSITÀ DI QUALITÀ: medio-alta. Tracce ben intervallate, dosate con cura; un disco compilato accuratamente, senza buchi, niente picchi che poi lasciano cadere nel vuoto anziché far salire ancora ma una consumata programmazione dei tempi. Prendete esempio: dall’inizio accattivante di ‘Nervous’ si sale al primo singolo ‘The Magic’ (che facilmente vedo prevedo stravedo come hit nei dancefloor indie del 2011) per sciogliersi in ‘The Action Man’ un pezzo nel pieno stile della Wasser che abbiamo tanto amato nel 2006. Andate avanti e provate a restare fermi quando parte ‘Chemmie’, provateci; provate ad ascoltarlo in macchina e a non canticchiare il motivetto dell’ultimo brano ‘I Was Everyone’ quando scenderete: è la mazzata finale, che costringe a schiacciare ancora play prima di riallacciare la cintura. Omogeneo, insomma, pur senza perdere in texture, mai piatto. Non dico che ce lo ricorderemo a lungo, questo disco, ma dico che non ne faremo volentieri a meno: per quanto mi riguarda se in macchina avessi ancora le cassette un lato di una di quelle C-90 destinate a stanziare perennemente nell’abitacolo glielo dedicherei eccome.
VELOCITÀ: quella dell’anima. Col suo fare da felino sornione non scatena ritmi indiavolati, ma si accorda a quello del battito e va. Va. Semplicemente va. Autostrada, corsia di destra, 110 all’ora, col tuo bel margine per sorpassare i camion, con Joan che ti tiene compagnia e ti fa passare il viaggio spensierato. Che bello. Che bello. Temevo che Joan dopo l’esordio si fosse consumata e fosse destinata a fare menatine tristine con le chitarrine di cui è pieno il mondo indie e invece eccola qua che viaggia al ritmo del sangue. La vita comincia davvero a quarant’anni!
IL TESTO: “I want you to fall in love with me†– come non farlo quando un disco inizia così?
LA DICHIARAZIONE: “Mi sono accostata al processo di scrittura con l’intento di parlare da un punto di vista più universale, un po’ alla maniera di Stevie Wonder, circa l’esperienza umana. Devo riconoscere a Stevie, a questo proposito, il merito personalissimo di aver reso cool gli atteggiamenti positivi. Ci sono già abbastanza ‘bassi’ nella vita e io non ci tengo proprio a crogiolarmi in essi invece di spassarmela.â€
IL SITO: ‘Joanaspolicewoman.com’.
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