A volte ritornano, si diceva una volta parafrasando un romanzo e un film. Adesso il refrain è cambiato: ritornano spesso, anzi, quasi sempre. Gli scozzesi Vaselines, ultimi in ordine di tempo, una storica formazione di indie pop di fine anni ’80 di nuovo in pista a vent’anni dal proprio primo e unico disco. Hanno scelto non il momento più originale ma senza dubbio il più adatto, quasi una rivendicazione di paternità sui loro discepoli come Pains Of Being Pure At Heart e soprattutto Dum Dum Girls.
Formati a Glasgow nel 1987, i Vaselines realizzarono due singoli e un LP, Dum Dum, uscito proprio mentre il gruppo decideva di sciogliersi. Era il 1989. Eugene Kelly e Frances McKee ebbero però un fan provvidenziale di nome Kurt Cobain, senza il quale non avrebbero avuto mai la stessa risonanza di oggi. Il leader deiNirvana ha sempre ricompensato in un modo o nell’altro i propri ispiratori o artisti underground che stimava in modo particolare (Wipers, Melvins, Meat Puppets, lo stesso Daniel Johnston, giusto per fare qualche nome) ma con i Vaselines si prodigò incidendo tre cover (Son of a Gun, Molly’s Lips e Jesus Doesn’t Want Me For A Sunbeam); nei suoi diari pubblicati si trovano anche lettere indirizzate proprio ai due leader del complesso scozzese, poi adottato anche dalla Sub Pop che ne pubblicò nel 1992 l’antologia omnicomprensiva The Way of the Vaselines, edita in formato doppio quest’anno con il titolo Enter the Vaselines. McKee e Kelly hanno continuato a collaborare saltuariamente fino al 2008, quando hanno ricominciato a suonare insieme dal vivo. Da questo ritorno nasce oggi il secondo disco della storia dei Vaselines, registrato insieme allo stesso produttore del loro primo, Jamie Watson, e a nuovi musicisti: Stevie Jackson e Bob Kildea dei Belle & Sebastian e Michael McGaughrin.
Ha un senso questo ritorno? A giudicare dai pezzi del disco la risposta è sì perché si tratta dell’opera compiuta che i Vaselines non avevano realizzato nel primo round. Non si sono allontanati dal loro rock&roll melodico e candido. Quello tanto elementare e naif da diventare un’astrazione di se stesso e scoprire nella propria forma un genuino lirismo, condito con una punta di ironia. Solo che appare come stile, e meno come abbozzo di idea. L’ingenuo, amatoriale e insidioso mix tra punk, garage rock, bubblegum, folk e pop anni ’60 in bassa fedeltà è ora un disegno maturo. Lo dimostrano la trascinante Ruined, quasi punk, il pop ritmato della title-track, la ballata Turning It On, e ancora canzoni frizzanti come Overweight But Over You e I Hate The 80s, nulla se non rock&roll lineari, tempi in battere, accordi ripetuti e semplicità da filastrocca con l’aggiunta di azzeccate armonie vocali ma con un feeling riconoscibile come un marchio di fabbrica. Funzionano. I Hate The 80s poi è una sorta di anti-manifesto: “You want the truth and this is it: I hate the Eighties ‘cause the Eighties were shit”. Forse bisognerebbe ricordarlo a qualcuno fissato con il revival. Ma non è possibile non cogliere l’autoironia. Does humour belongs to indie music? I Vaselines sono tornati. Rallegriamoci, per ora, ed esultiam
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