Highway 61 – King Crimson
“Scopo fondamentale dei King Crimson è organizzare l’anarchia, utilizzare il potere latente del caos e permettere a svariate influenze di interagire e trovare il proprio equilibrio. Da lì la musica si evolve secondo una propria natura, piuttosto che svilupparsi per linee predeterminate.”
Di una cosa va dato atto a Robert Fripp, il Professore, al di là dei meriti o delle debolezze che gli si possono riconoscere; che ha sempre accudito con amore e puntiglio la sua creatura, King Crimson, che l’ha spiegata, difesa, illustrata, documentata come pochi in ambito rock, con una lucidità e una onestà di giudizio, mea culpa inclusi, che gli fanno onore. Se mai un giorno qualcuno vorrà scrivere una precisa storia della musica Progressive (e oltre, ben oltre, perchè i KC naturalmente non sono stati solo una Prog band), troverà molti spunti interessanti negli scritti che il Professore ha seminato nel corso degli anni, e ancora nelle recentissime ristampe del catalogo in occasione del quarantennale Crimson.
Partiamo giusto da lì, dalle schiette note di Fripp in calce a Lizard, Red, In The Court Of Crimson King, i tre numeri scelti per cominciare il lavoro di restauro; anzi no, partiamo dal restauro medesimo, dal “new stereo mix” dai nastri originali e dalla versione in 5.1 Surround curati da Steven Wilson (Porcupine Tree) con la supervisione di Fripp medesimo. E’ un viaggio dentro la musica e indietro nel tempo che ha appassionato e sfinito Wilson e lasciato a bocca aperta lo stesso Professore, stupito che qualcuno fosse più realista del re e lo dimostrasse con tanto ingegno e applicazione. Che poi questa monumentale fatica finisca distillata nelle orecchie di vecchi signori con piccole casse mimetiche perchè la moglie non vuole rovinare l’estetica del salotto o, peggio, ferocemente compressa nello striminzito mondo dell’Ipod, be’, è un altro discorso. La mia stanza di suoni per fortuna ha spazi larghi, il mio impianto soffia a pieni polmoni; e così la musica in effetti respira meglio, rispetto al precedente remix del 2004 dico, non parliamo nemmeno degli sfrigolanti vinili Island o Ricordi dei tempi originali. Wilson ha recuperato le tracce originali, fase 1, mentre in precedenza si era partiti dai sub mix e da una ipotetica fase 2; ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e i buchi della catalogazione (“chi mai poteva pensare che un giorno si sarebbe provveduto a un nuovo mix?”) e con mano lieve ma ferma ha scrostato, spostato, alterato i pesi, meritandosi la fiducia del Professore, in perfetta sintonia con lui.
Wilson si è appassionato soprattutto a Lizard, lo confessa spudoratamente e finisce per tirarci dalla sua. “Per me Lizard è sempre stato un album troppo grande perchè lo stereo potesse contenerlo a dovere. Ho sempre avuto l’impressione che, presentato nella giusta maniera, avrebbe potuto spiccare come il disco rock più sperimentale di tutti i tempi. E’ straordinario quello che i Crimson suonano in quest’album, una impareggiabile fusione di free jazz e rock progressivo.”
L’amore porta a esagerare ma neanche troppo. In effetti, stabilito che In The Court è una formidabile audace sorpresa e In The Wake Of Poseidon un seguito preparato troppo in fretta per non essere di maniera, Lizard è sempre stato considerato un album di transizione per un periodo di transizione, come lo stesso Fripp definisce la stagione 1970/71. “Un sacco di idee, quasi mai a segno”, è stata per anni la sua opinione, ribadita anche nelle note 2009 – con la sola eccezione del Bolero della suite.
Ma è proprio certo che sia così? In realtà Lizard ha una grande vivacità espressiva, e bellissime idee jazz che, più di ogni altro album KC di quella stagione, lo avvicinano a certi benedetti lavori di frontiera, da una parte e dall’altra – alla Valentyne Suite dei Colosseum, a Dedicated To You di Keith Tippett, agli album orchestrali di Mike Westbrook, ai sogni diversi di Wyatt, quelli infranti con i Soft Machine e a quelli imperfetti con i Marching Mole. La suite di Lizard è un caleidoscopio eccitante, una volta superato l’equivoco del Principe Rupert; ma ancora più affascinante la riscoperta di brani come Indoor Games o Happy Family, con un gusto del grottesco che finirà per ispirare certi cugini così vicini così lontani (Peter Gabriel da grande, giusto per fare un esempio).
I Crimson di quel periodo erano Fripp, Collins, Haskell e McCullouch ma non avrebbero potuto realizzare un album del genere senza il contributo decisivo di Keith Tippett, Marc Charig, Nick Evans e dell’oboista classico Robin Miller. Il Professore non si tira indietro e rende merito a Keith Tippett, con una sottolineatura speciale. E’ storia che Fripp a un certo punto gli offrì di entrare in società , di essere co-leader della formazione che, ancora in fasce, aveva subito il trauma della prima secessione. Tippett gentilmente rifiutò, aveva altre idee in testa e sentiva soprattutto la vocazione del jazz. Ma per un po’ rimase comunque in zona, e i segni lasciati su Lizard, e su Poseidon e Islands, rimangono importanti.
Dicevo delle note di Fripp a queste ristampe, incisive anche se non lineari, a flash, di grande lucidità e schiettezza.
Quando chiede di guardare agli anni ’70 con equanimità e comprensione, e descrive quella stagione senza la nebbia del mito: “ragazzi presi in mezzo da un’improvvisa eruzione di attenzione, denaro, manipolazione e sfruttamento, droghe, adulazione, cibo servito su tovaglie ricamate e ordinato da menu scritti in francese, hotel cinque stelle e compagnia facile da trovare. Per qualcuno, il lato esteriore della vita interessava più di un’aspirazione puramente musicale”. Quando impeccabilmente traccia in poche parole una storia della discografia: “il periodo 1969/70 – 1975/76 resta una sorta di Età dell’Oro. La vita non era ancora minacciata dalla programmata disonestà e dal controllo sempre più soffocante che ha caratterizzato l’industria fra il 1983 e il 1991; da quel punto al 1997/98 l’industria musicale che io avevo conosciuto si è dissolta.”
“Non è questo il momento di scrivere una storia di quel periodo o dei King Crimson il quel periodo,” scrive a un certo punto commentando Red, il canto del cigno della prima stagione KC. Sarà , ma perchè non pensare di farlo, prima o poi, perchè non abbandonare l’archivio sonoro ormai sfruttato fino alle bucce (ce ne sono anche in queste ristampe, non ne parlo perchè non sono di così peculiare interesse) e dedicarsi piuttosto a un saggio sulla scena di quegli anni cruciali e controversi? Sarebbe un contributo prezioso, chiarirebbe le idee a tutti, anche ai troppo devoti crociati che da tempo si agitano a difendere la purezza del Prog contro gli infedeli di altre musiche e altre epoche.
Il razionale, anche cinico Fripp non pretende di spiegare tutto con la logica. I primi Crimson, per esempio, agirono come sotto un incantesimo, toccati da uno spirito magico che senza ironia i musicisti chiamavano “la nostra Buona Fata”. “Qualche volta la musica viene dalla tua parte ed entra in confidenza con te.” Quella magia è ancora possibile, ed è forse il motore più potente per chi sceglie l’arte con il cuore puro, “ma oggi non è più lì a morderti l’orecchio”. Non è chiaro se Fripp parli di sè e della sua creatura musicale o di noi che tanto abbiamo amato il rock. Chissà . Però dice parole vere. “Quel momento è passato, e non tornerà . Oggi è un altro momento, che lo si voglia cogliere o meno.”
di Riccardo Bertoncelli
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