Che i Flaming Lips non siano quel genere di band che dopo due-tre dischi si lasciano sopraffare dalle mode o dal vorticoso turbillon mediatico che fa diventare i gruppi rock schiavi di loro stessi e della stampa specializzata, è un concetto chiaro da più di un decennio. Altro concetto chiaro è che in circolazione non ci sono numerosissime indie-band (anche se i Flaming Lips da un po’ sono con la Warner) che godono dell’onorevole status di collettivo che “non ha più niente da dimostrareâ€. Ma Wayne Coyne e soci adorano dimostrare. Adorano mostrare la loro forza, tanto in studio quanto dal vivo. Tanto d’intelletto quanto di muscolarità . Ed ‘Embryonic‘, dodicesima fatica su lunga distanza, è un’epopea muscolosa e intelligente. Un doppio album, qualcosa d’altri tempi. Il dubbio di tutti è: sarà più ‘Soft Bulletin‘ o ‘Yoshimi‘ oriented ? Sarà stravagante o più vicino all’idea comune di canzone? Scopriamolo passo passo.
1. ‘Convinced Of The Hex’: elettronica, nervosa, sintetica. Chitarre che puntellano la ritmica come aghi, Wayne ripete un mantra “That’s the difference between usâ€.
2. ‘The Sparrow Looks Up To The Machine’: batteria che sembra rubata da ‘Morning Bell‘ dei Radiohead, voce che proviene dagli abissi. Ancora arrangiamenti prettamente sintetici. I toni sono più oscuri della precedente, ma la parte strumentale convince.
3. ‘Evil’: Pezzo molto soffuso, d’atmosfera. Pieno di effetti e rumori come in un b-movie. Si perde nelle sue dilatazioni, anche se le liriche suonano bene. Lisergica.
4. ‘Acquarius Sabotage’: pezzo strumentale che potrebbe essere un’outtake impazzito di ‘Yoshimi battles…‘.
5. ‘See The Leaves‘: sulla falsariga ritmica pazzoide dei primi pezzi, ancora molti effetti di sottofondo. Forse la prima vera canzone. Ma nulla di ordinario, soprattutto nella coda soporifera.
6. ‘If’: pezzo breve. Non si capisce su cosa canti Wayne, è come un fruscio. In lontananza un mellotron. Rilassante, quasi ninna-nanna.
7. ‘Gemini Syringes’: una pomposa linea di basso, un parlato che ricorda un po’ i dEUS dei primi anni e un paio di arpeggi. Zero incisività .
8. ‘Your Bats’: batteria in primo piano, batteria da rock band. Su di essa poggia l’intero pezzo, la voce è filtrata. Voce che finora non si è quasi sentita. E ancora tanti effetti e distorsioni.
9. ‘Powerless’: ancora Wayne che gioca a nascondino con il suo canto. Stavolta però l’interpretazione è coinvolta, grazie anche alla struttura del pezzo che da l’idea di una colonna sonora western, con la chitarra portata agli estremi della cacofonia ma con il volume basso. Quasi sette minuti sono troppi, però.
10. ‘The Ego’s Last Stand’: voci intrecciate (Wayne e i suoi cloni?) che giocano con un giro di chitarra ripetitivo e ossessionante. Esplosione oltre il noise più estremo e pericoloso per i timpani. Pezzo incendiario. E ronzante.
11. ‘I Can Be A Frog’: ancora amplificatori al massimo sulla batteria, voce campionata che ormai è solo un contorno, peraltro trascurabile. Se ce ne fosse bisogno, un ulteriore conferma della natura iper-sperimentale del disco.
12. ‘Sagyttarius Silver Annoucement‘: coretti alla Pink Floyd su un giro di chitarra che via via si fa più sfumato, rendendo l’atmosfera altamente psichedelica. Ma con quel tocco alieno classico dei Lips.
13. ‘Worm Mountain’: intro che vi potrebbe portare alla mente i Japandroids se solo avessero a che fare con i computer più del dovuto. Ci sono addirittura gli scratch tipici dell’hip-hop. Ma la canzone è decisamente heavy. Un pezzo molto seventies.
14. ‘Scorpio Sword’: altro strumentale con ambizioni sinfoniche.
15. ‘The Impulse’: se la nostra non fosse una fonte attendibile, sembrerebbe di trovarsi in un disco dei daft punk o dei Kraftwerk. Song che ha nella sua emotività stellare l’unico motivo d’essere.
16. ‘Silver Trembling Hands’: rullante che offre il là ad una delle canzoni più avvincenti del disco. Il canto è ancora più marcatamente Barretiano e si apre in un coro da ballata anni 80 che poi implode nell’aridità rock.
17. ‘Virgo Self Esteem Broadcast‘: ancora un momento che mette a dura prova la pazienza dell’ascoltatore occasionale e la fedeltà del fan. Campionamenti di pianti, risate e monologhi il tutto condito con cori da chiesa e puntate di piano da thriller.
18. ‘Watching The Planets’: ritmi e percussioni tra il noise e il punk con un’occhiata sempre al decennio dei Led Zeppelin. Cinque minuti dove c’è spazio per altra energia e per un altro saggio di quella produzione che per quasi tutto il disco è stata soffocante. Ma stavolta la melodia riesce a farsi notare.
I Flaming Lips hanno dato alle stampe il disco più indecifrabile della loro carriera e da quello che è il primo ascolto, forse non il più riuscito. Come già avrete potuto intuire, dare fiducia e credito ad ‘Embryonic‘ non sarà facile, soprattutto alla luce di una certa continuità negli elementi che compongo il flusso sonoro (campionamenti e voce filtrata su tutti), che non aiutano per nulla il processo di assimilazione e scomposizione dei vari episodi. Per fermarci alla loro produzione recente questo non è ‘At War With The Mystics‘, non è ‘The Soft Bulletin‘ e nemmeno ‘Yoshimi Battles The Pink Robot‘. E’ piuttosto quest’ultimo portato agli estremi. It’s not a good time for superman.
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