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Casa discografica: Columbia
Anno: 2009
Da noi i Glasvegas, “neologismo” da vocabolario rock che rimanda a un improbabile incrocio fra Glasgow – la città di provenienza del gruppo – e Las Vegas, sono appena arrivati. Nel Regno Unito godono da parecchi mesi dei favori della critica e del pubblico attento alle novità (sono attivi dal 2003, però). Pensando al nome, hanno poco a che vedere con l’America delle slot machine, molto con quella di certe nostalgie musicali tutte sixties: l’epopea del wall of sound di Phil Spector, le Ronettes di Be My Baby, Del Shannon e la sua Runaway, il sapore amaro di alcune cose dei Beach Boys. Tornando dall’altra parte dell’Oceano le ispirazioni si confondono con le atmosfere dreamy dei concittadini Jesus and Mary Chain e dei My Bloody Valentine, e poi tanto (spleen/teen) pop di qualità , zucchero intriso di lacrime (quanto basta). Qualcuno ha scritto un “mix di rockabilly e shoegazing”. Noi mettiamo un freno alle associazioni. E chiudiamo gli occhi cercando di sognare.
I paesaggi immaginari della musica sono sporcati dalla durezza del mondo. Con i piedi e il cuore i Glasvegas abitano l’Europa della Memoria, su questo non c’è dubbio. E, soprattutto, i quartieri operai e popolari di Glasgow, da cui vengono. La loro casa, origine di tutte le urgenze. Non a caso James Allan con il suo accento scottish marcato in Flowers & Football Tops, la canzone d’apertura, canta “no Hollywood endings”, raccontando la tragedia di un figlio, la distruzione di una famiglia. I giornali britannici li hanno già osannati, forse con troppa enfasi. Ma siamo abituati e, ormai, abbiamo il vaccino contro la Next Big Thing syndrome. La sponsorizzazione di Mr. Creation Alan Mc Gee, coinvolto nel management, non ci illude, anche se conforta. In questi casi basta la musica: dall’intro, che si chiude con la citazione di You Are My Sunshine, ai riff di Geraldine, la speranza triste e corrosiva di Lonesome Swan, l’abbandono alla malinconia di Polmont on My Mind. Convince Daddy’s Gone, scelta come primo singolo. Stabbed è il momento di respiro, con il testo recitato sulle note della famosa Sonata per pianoforte n. 14 di Beethoven (il Chiaro di luna). Ma su tutte spicca It’s My Own Cheating Heart That Makes Me Cry (un tributo a Hank Williams?). A gola spiegata Allan canta dolce e disperato di fantasmi, colpe e paranoie che tormentano tutti noi. Uno dei dischi più interessanti degli ultimi mesi.
Lorenzo Barbieri
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Quando uscì l’album, lo ascoltai distrattamente e nemmeno tutto, in mezzo alla marea di altri cd, mi sembrò un prodotto anonimo e non mi colpì (colpevolmente) molto. Poi li ho visti live al David Letterman Show e son corso a riascoltare questo loro disco d’esordio e mi son dovuto ricredere, il disco ora mi piace non poco. Amen.
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anch’io l’avevo snobbato, ma alla fine è uno di quelli che s’insinuano quando meno te l’aspetti: e che istantanea del regno unito!
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quando ebbi l’idea del blog ,peraltro scontata al giorno d’oggi,il mio sogno era dialogare con persone come voi.Ebbene il sogno da qualche mese si e’ realizzato ed e’ un onore nonche’ un piacere prendere il caffe’ rock con voi,pochi ma buoni.Ma vi diro’……470mila contatti qualcosa significano no?Qualcuno ci viene a trovare e poi scappa.Che prenda paura?:-)GRANDISSIMIIIIIIIIIIIIIII
Glasgow piu’ Las Vegas come Simple Minds e Killers?Bohhhhhhh e che ce frega a noi?Se dal reale si passasse al virtuale sai le birre e che spasso!rock on e augh
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