Radiohead, Selway il batterista
“Io come Ringo, finalmente canto”
Incontro con il musicista della migliore band dell’ultima generazione rock. In attesa del nuovo disco con il gruppo, presenta il suo primo esperimento da solista: il cd “Familial” in uscita il 27 agosto
di GINO CASTALDO
MILANO – Quando gli chiediamo notizie del prossimo disco della band Phil Selway fa una risatina sommessa. Si dice che potrebbe uscire presto. O no? “Non proprio, sì stiamo lavorando molto e posso dire che sarà un disco sorprendente, diverso da tutti gli altri che abbiamo fatto, ma sui tempi non sarei così sicuro. Se uscisse entro l’anno sarebbe già un miracolo”. Dunque il batterista non è uscito dal gruppo, rimane la colonna ritmica della band, ma per una volta si è preso una vacanza, e ora è in giro a promuovere il suo primo disco solista Familial (in uscita il 27 agosto) che nasce come costola del grande progetto di quella che è ritenuta la migliore band dell’ultima generazione rock. “È bellissimo avere due progetti allo stesso tempo, anche perché come Radiohead abbiamo un sistema di lavoro che ci permette di farlo. In genere lavoriamo intensamente per un paio di settimane, poi ce ne concediamo un paio libere per curare le nostre cose”. Ma la sorpresa c’è, e anche grossa. Fino a poco tempo fa nessuno sospettava che il gentile e raffinato batterista dei Radiohead potesse essere un bravo songwriter. Forse non ne era certo neanche lui.
Non è strano scoprirlo dopo vent’anni di militanza in un gruppo?
“È stata una sorpresa anche per me, anche se all’inizio da ragazzo mi è capitato di scrivere qualche canzone. Poi, entrato come batterista nei Radiohead, mi sono totalmente concentrato sulle percussioni.Del resto avere nel gruppo uno come Thom Yorke, prolifico e geniale compositore, era piuttosto scoraggiante, e poi era già abbastanza incredibile far parte di tutto questo”.
Lo sa che storicamente questo ricorda la vicenda di Ringo Starr che si lamentava sempre di non riuscire a proporre pezzi perché aveva a che fare con Lennon & McCartney…
“Sì, ma io non ho mai proposto pezzi al gruppo. E neanche ci pensavo, o meglio non ero certo di poter cantare. Questa forse è l’aspetto che mi piace di più”.
E gli altri, gelosi?
“Non direi, anzi sono stati molto di sostegno, a noi piace quando uno del gruppo tira fuori qualcosa di suo. Casomai sono stati sorpresi, come tutti del resto, perché anche i miei compagni sono abituati a vedermi soprattutto come un batterista”.
In un pezzo, All eyes on you, sembra parlare della vita nel gruppo, è così?
“Nel 1993, era la seconda volta in tour negli Stati Uniti, era appena uscito Creep e improvvisamente fummo catapultati in qualcosa di completamente nuovo, eccitante, ma spaventoso. Ci trovammo circondati da un sacco di persone, un pubblico enorme e noi eravamo come paralizzati, non eravamo pronti. Il pezzo parla di questa paura. Mi è successo di nuovo la prima volta che ho cantato, proprio in Italia, a Torino quando partecipai al progetto di Neil Finn”.
E da lì ha preso coraggio?
“Sì, alla fine sentivo l’urgenza di esprimere qualcosa di più personale, che mi riflettesse come individuo. Ma ho dovuto prendere confidenza col fatto di essere solo. Alla fine la band è come una famiglia, ti protegge, ma allo stesso tempo ti dà una responsabilità enorme se vuoi fare qualcosa per conto tuo, sapendo di essere in una band che viene considerata tra le migliori al mondo. È strano scoprire di poterlo fare a 43 anni, ma mi piaceva l’idea d’esplorare la responsabilità della vita e delle relazioni. Alla fine è venuta l’idea di intitolarlo Familial, ma non è un concept album, piuttosto un filo che lega gli episodi di questo esperimento”.
Alcune di queste canzoni, penso soprattutto a un pezzo come A simple life, potrebbero entrare nel repertorio dal vivo dei Radiohead?
“Credo che siano abbastanza lontane, ma in qualche caso c’è affinità . Insomma è presto per dirlo, ma chissà , potrebbe anche succedere”.
Lei e gli altri siete rimasti a vivere a Oxford. Lontani da grandi città , non crede che questa sia una delle ragioni che spiegano l’ispirazione stilistica della vostra musica, sia di gruppo che individuale?
“Non avevo mai visto le cose in questo modo, ma forse è proprio così, se vivessimo in una grande città la nostra musica potrebbe essere diversa. In realtà ci piace Oxford, lontana dal rumore industriale, più contemplativa, e anche più facile per i nostri rapporti. Stiamo tutti vicini e tutto diventa più facile quando dobbiamo lavorare insieme”.
Related Articles
No user responded in this post
Leave A Reply