L’Italiano del Mese: Paolo Benvegnù, ‘Hermann’
Il nome di Paolo Benvegnù (meglio, dei Paolo Benvegnù, vista l’importanza del contributo degli altri musicisti per la riuscita del progetto) è senza dubbio uno di quelli su cui c’è maggior concordia tra tutti gli appassionati di indie italiano. Difficile, infatti, trovare opinioni negative sul lavoro intrapreso dall’ex Scisma, al quale, col tempo, si sono uniti indissolubilmente altri compagni d’avventura. Questo terzo lavoro era quindi attesissimo, ed è giusto quindi usare questo spazio mensile per capire se ‘Hermann’ rispecchia in pieno le altissime aspettative.
Iniziamo chiarendo subito un punto fondamentale: secondo il mio parere, il progetto musicale che porta il nome di Paolo Benvegnù è il migliore che si possa trovare oggi in Italia. Nessun altro gruppo o artista solista attivo sulla Penisola è in grado di uguagliare la straordinaria qualità delle canzoni create da questi eccellenti musicisti. L’ispirazione compositiva, la fantasia di ognuno nell’interpretare la propria parte, l’alto valore aggiunto dato dalla somma di queste singole parti, molto più alto rispetto alla loro semplice unione, la capacità di rendere al meglio le ambientazioni evocate da testi perfetti sia dal punto di vista letterario che per quanto riguarda l’efficacia descrittiva, sono tutti aspetti nei quali i Benvegnù sono maestri. Va da sé, quindi, che ad ogni nuova uscita ci si aspetti sempre qualcosa di più di un buon disco: ci si immagina, infatti, qualcosa di cui innamorarsi perdutamente, senza se e senza ma.
‘Hermann’, che segue di circa tre anni il capolavoro ‘Le Labbra’ è in effetti qualcosa di più di un buon disco, però qualche ‘ma’ lo solleva. Il rischio, in questi casi, è quello che i numerosi punti di forza del lavoro vengano oscurati da solo poche e flebili perplessità , ed è un peccato che non risalti come meriterebbe la conferma da parte della band nel saper esprimere qualità importantissime. Sarebbe, però, altrettanto ingiusto tacere dei dubbi sollevati dall’ascolto del disco, per ‘colpa’ dei quali non è possibile parlare dell’album definitivo ed insuperabile che era lecito attendersi a questo punto del percorso dei Benvegnù.
L’idea base di ‘Hermann’ sembra quella di allontanarsi dalla visione piuttosto personalistica di ‘Le Labbra’ e che in fondo è una caratteristica comune di quasi tutti i dischi italiani che si basano comunque su canzoni. Nel 2008 Benvegnù ed i suoi parlavano di tormenti sentimentali nei quali senz’altro ogni ascoltatore poteva ritrovarsi ma che comunque apparivano riferirsi a persone e situazioni ben definite; ‘Hermann’, invece, affronta principalmente temi riferibili al sentire comune della generalità degli esseri umani, tra retrospettive sulla stessa storia dell’uomo (‘Love Is Talking’, ‘Il Mare È Bellissimo’), riflessioni filosofiche ad ampio respiro (‘Moses’, ‘Date Fuoco’), escursioni nella mitologia greca (‘Andromeda Maria’) ed ambientazioni che uniscono l’antico al moderno (‘Sartre Monstre’). Non mancano i momenti in cui la prospettiva è più personale nel senso sopra descritto (l’iniziale ‘Il Pianeta Perfetto’, la conclusiva ‘L’Invasore’ e ‘Io Ho Visto’), ma sembrano più che altro una maniera più gentile per iniziare e per finire ed un intermezzo che non si distacca poi molto dallo spirito prevalente delle tematiche trattate.
Una scelta ambiziosa, non c’è che dire, in linea sia con le aspettative che con quanto Benvegnù aveva fatto trapelare in alcune dichiarazioni. E, come si diceva, una scelta concretizzata davvero ottimamente, perché tutti i pregi di cui sopra sono pienamente confermati all’interno di un contesto che richiedeva una maggior varietà di soluzioni e la necessità di produrre musica e testi più scorrevoli ed ariosi ma che mantenessero la stessa altissima intensità del passato. Alla prova dei fatti le canzoni sono portatrici del numero di idee richiesto e riescono effettivamente a non più incalzare l’ascoltatore e puntare direttamente alla sua intimità , ma ad avvolgerlo in un incantevole equilibrio tra classico e moderno, tra italianismo ed internazionalità , tra introspezioni e sguardi panoramici. Una quadratura del cerchio davvero rara, e non soltanto in Italia.
Quali sono, a questo punto, i dubbi di fronte ad un’opera così personale ed innovativa? È presto detto: dal punto di vista strettamente musicale, non si può parlare di un vero e proprio passo in avanti nel percorso artistico, perché le aggiunte che rendono il lavoro così riuscito non sono qualcosa di nuovo ma sono tutte mutuate dal repertorio degli Scisma (guarda caso, in questo disco aumentano gli intermezzi in inglese, proprio come succedeva con la vecchia band del leader). Bravissimi Benvegnù ed i suoi a riprendere un passato ormai remoto e ad unirlo così sapientemente con la loro cifra stilistica attuale, ma resta comunque una rielaborazione e non una vera innovazione. Per quanto riguarda i testi, il cambio di prospettiva non porta ad un mutamento né del linguaggio, né della cadenza delle strofe, né del modo in cui vengono utilizzate le metafore: in pratica, Benvegnù ci racconta cose diverse, ma lo fa con il medesimo stile.
Mi rendo conto che esporre in questo modo rilievi del genere possa sembrare indice di un atteggiamento troppo critico nei confronti di un disco splendido; però quando si parla dei migliori è inevitabile enfatizzare sia i punti di forza che quelli in cui si può ancora migliorare. Nell’attesa che i Benvegnù trovino il loro zenith, è comunque d’uopo ringraziarli ancora per averci dato la possibilità di provare emozioni così forti grazie alla loro musica.
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