Un lavoro meritevole quello fatto da Maurizio Inchingoli, che si è preso la briga di fare il punto sul panorama delle riviste musicali in Italia, tra quelle uscite nei momenti di gloria dell’industria discografica italiana (e dove ce ne erano davvero per tutti i gusti) e quelle che ancora resistono nonostante tutto. “Musica – 50 anni di riviste musica in Italia” (Arcana) è un libro uscito da poche settimane, che si lascia leggere tra schede sulle testate, interviste ad alcuni dei protagonisti e ovviamente aneddoti e curiosità.
Un volume che si rivolge soprattutto a chi c’era, che a cadenza settimanale, quindicinale o mensile (a seconda de casi) andava (e magari ci va tuttora) nella propria edicola di fiducia per acquistare le proprie riviste preferite per scoprire se dell’artista tanto amato ci fossero novità in vista, oppure per approfondire e conoscere discografie spesso difficili da completare (con qualche pezzo introvabile). Ma è un libro utile anche a fini di studio, e quindi che si deve consigliare anche ai più giovani, che non hanno vissuto un periodo irripetibile dell’editoria italiana e che, complici il web e tutti gli strumenti di comunicazione digitale, non hanno idea di cosa voleva dire scrivere di musica in tempi in cui per comunicare, scambiarsi materiali e informazioni le lettere erano lo strumento più sicuro ed economico. Su questo tema fino a ora ci aveva provato solo l’ottimo Luca Frazzi, che proprio nel luglio del 2021 aveva pubblicato per “Le guide pratiche di Rumore” (allegato alla nota rivista) lo speciale “Edicola Rock – Riviste musicali italiane” (dove sono state analizzate ben 100 testate).
Il sottotitolo del libro recita “50 anni di riviste musicali in Italia”. Ora c’è da dire che non è che il 2022 segna un anniversario particolare di qualche testata. Però è indubbio che le prime riviste musicali sono uscite nei primi anni ’60, rivolte al pubblico dei ragazzi che consumavano 45 giri e le canzoni pop più in voga, anche se su altri generi c’erano già riviste in commercio (su tutti “Musica Jazz”, tuttora in edicola e che esce dal 1945). Detto questo l’autore si sofferma di più sulle riviste rock, per questo non si trova un panorama decisamente esaustivo. Non ci sono per esempio le numerose riviste orientate più al pop, che a un certo punto con il fenomeno delle teen band avevano affollato le edicole. Così come non si fa menzione delle riviste di musica classica, che comunque in Italia hanno conosciuto un momento importante e continuano a uscire ancora (pensiamo a “Suonare News” e “Amadeus”, oppure a “Rondò“), mentre quelle rivolte ai musicisti non vengono tutte menzionate (come “Guitar Club” ecc.). Nel libro ci sono interviste importanti da leggere con attenzione, in particolare quelle a Federico Guglielmi (che possiamo sicuramente definire come uno dei giornalisti musicali più significativi in Italia, con trascorsi in diverse testate, e che quindi ne ha di cose da raccontare) e al decano Riccardo Bertoncelli (senza il cui operato probabilmente non saremmo nemmeno qui a ora a scrivere). Molto bella ed esaustiva la parte sulle riviste metal, che in Italia hanno davvero proliferato, con interviste a due nomi di culto per il genere, ovvero Francesco “Fuzz Fuzz” Pascoletti e Gianni Della Cioppa. Significativo anche l’approfondimento su “AL Magazine” (o Aelle), la prima rivista dedicata al mondo hip hop.
Mentre leggevo questo libro andavo a spulciare nella mia collezione. Sono a andato a rivedere le gerenze, per rileggere chi realizzava le riviste e chi ci scriveva, ma anche per confrontare dati e notizie. Mi sono ritrovato in mano tante testate (probabilmente molte inutili) che non sono in questo libro e mi sono reso conto davvero con quanto entusiasmo editori (spesso avventurieri) e giornalisti si lanciavano in questo mondo (pensate c’era pure una rivista “Mercatino musicale”, dedicata agli scambi tra appassionati, alla ricerca di musicisti ecc.). Detto questo l’unica cosa che dispiace in “Musica di carta” è che l’autore, anche sul fronte interviste, ha dato più importanza ad alcune testate, sottovalutandone altre. Probabilmente è stata voluta la scelta di dare meno spazio alle testate più generaliste. “Ciao 2001” per esempio andava approfondita di più, anche per raccontare le numerose vite che ha avuto dopo la prima storica fase (ci fu persino un tentativo di rilancio tra il 1999 e il 2000, con una grafica che rimandava a quella degli anni ’70), e soprattutto meritava un approfondimento la figura del direttore Saverio Rotondi (direttore di “Ciao 2001”, ma che con la Edizioni Leti realizzò anche altre riviste come “Music” e “Poster Story”). Ancora, una rivista come “Tutto Musica e Spettacolo” (Mondadori) è stata relegata in una piccola scheda. Ma ci si dimentica dell’importante lavoro di divulgazione che ha svolto (è stato in fin dei conti il mensile di musica più venduto, sin dai primi anni ’80 e con oltre 200 mila copie nel 1998), con articoli su tutti i generi e gli artisti, e soprattutto delle prestigiose firme che ci scrivevano (Fausto Pirito, Gianni Poglio, Peppo Del Conte solo per citarne alcuni). Così come, nel momento in cui si vanno ad approfondire (giustamente) testate come “Mucchio Selvaggio”, “Rockerilla”, “Rumore” e “Rocksound”, ci si dimentica di testate dedicate al collezionismo come “Musikbox” (uscito dal 1996 al 2014), “Vintage“, mentre maggiore approfondimento avrebbe meritato “Jam – Viaggio nella musica” (anche qui solo una piccola scheda), che è stata fondata e diretta da Ezio Guaitamacchi (a giudizio, non solo di chi scrive, il miglior giornalista musicale in Italia e soprattutto – dati alla mano – l’autore più venduto sul fronte libri nonché importante divulgatore tra tv, radio e web). Per contro appare eccesivo lo spazio dedicato a “Musiche”, sicuramente un’ottima rivista, ma che al tempo non usciva in edicola e che ha raccolto solo un ristretto numero di appassionati. Non manca qualche svarione imputabile però agli intervistati (in alcuni casi gli stessi protagonisti fanno confusione su alcuni passaggi editoriali delle testate con cui hanno lavorato): Jacopo Tomatis, redattore del Giornale della Musica, quando parla dei giornalisti professionisti in pensione “godenti di tutte le tutele dell’Ordine”, sbaglia quando dice che “l’Ordine dei giornalisti negli ultimi anni è diventato un’istituzione che cura soprattutto gli interessi dei giornalisti più anziani”, visto che l’Ordine dei giornalisti si occupa da sempre di deontologia professionale, e non fa invece attività sindacale (semmai, in favore dei precari – che possono essere giovani o adulti – è intervenuto con la “Carta di Firenze” per richiamare a un equo compenso, ma non è questa la sede per occuparcene).
Nella parte finale del libro l’autore parla del futuro. Ci si domanda se le riviste potranno ancora resistere in un mondo dominato dal web, e su come quest’ultimo ha cambiato il modo di relazionarsi all’approfondimento e alla critica musicale (c’è anche un’intervista al Piero Scaruffi, fondatore del famoso sito nonché curatore di alcune contestate enciclopedie musicali). C’è anche una parte sul ruolo delle donne nel giornalismo rock. Secondo l’autore l’apporto delle donne in questo contesto è sempre stato molto limitato. Ora sicuramente potrebbe essere stato così all’inizio, ma da lettore (almeno per le riviste che ho sempre acquistato), ho sempre letto tante firme di donne nelle riviste da me consultate. Già negli anni ’80 si mette in un luce nel giornalismo un gruppo importante di giornaliste musicali (penso a Teresa De Santis, poi diventata anche direttrice di Rai 1 e ora presidente di RaiCom, ma anche ad Alessandra Sacchetta – ora a RaiNews24, e a Sonia Anselmo). E qui torniamo a quanto srivevo prima. Dipende dalle testate analizzate. Penso proprio a testate come “Tutto Musica e spettacolo” (era pieno di firme femminili: penso a Sonja Annibaldi quella che seguivo con più interesse), alla stessa “Jam” (Eleonora Bagarotti, Barbara Volpi, Elisa Orlandotti), fino al metal (un nome per tutte: Barbara Caserta), per non parlare di quelle più orientate al pop dove le ragazze la facevano da padrone. E parliamo di firme comunque importanti, che hanno scritto anche libri e monografie. Ovviamente non si può pretendere di trovare tutto. Anche sugli elenchi telefonici non ci sono i numeri di tutti gli abbonati. Per questo se siete appassionati di musica, e siete tra quelli che per cui la musica può non dico cambiare, ma almeno un po’ migliorare la vita di ciascuno di noi, allora dovete acquistare, prendere e divulgare questo libro.
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