Greta Van Fleet a Milano: racconto e scaletta del concerto
La band dei fratelli Kiszka si è esibita ieri sera, 24 novembre, sul palco dell’Alcatraz di Milano
Le luci all’Alcatraz si spengono. Un vecchio pezzo soul è il segnale che i Greta Van Fleet sono pronti a salire sul palco. Il locale meneghino è stipato: 3.500 spettatori che, nell’insieme, fanno un pubblico “bello” – un po’ di metal, giovanissimi a fianco di reduci di un’altra era, un pizzico di hipster look che si staglia tra molte t-shirt selezionate tra il meglio che il classic rock possa offrire, molte ragazze. Lo prendiamo come un segnale di come il gruppo si posiziona. E’ un gruppo senza tempo. Che conta solo sulla musica. Il cui sex appeal è di quelli contrarian.
Gli anni Settanta? Una firma estetica e sonora. Il look? Discutibile. Il suono? Pazzesco. Josh Kiszka è vestito come se avesse attinto dai guardaroba di Robert Plant e David Bowie a distanza di cinque anni, dimenticandosi poi di scegliere cosa indossare. Si presenta lanciando fiori al pubblico dal palco. Si muove più come il giovane Daltrey e il tardo Mercury che come la nemesi Plant: ma a scatti, più goffo che sexy, col tamburello in mano che distruggerà al terzo pezzo. La sua, però, è una voce che pare arrivare da altrove, soprattutto ascoltandolo cantare un secondo dopo che aveva parlato: due timbri diversi, come se all’improvviso fosse posseduto. Josh calca il palco scalzo così come il fratello Sam, un bassista pauroso. E, anche se le gesta mitiche sono appannaggio del terzo Kizska – il funambolico Jake, il cui hard rock è immerso nel blues fino al midollo e la cui tecnica è già stata degna dell’attenzione di Guitar World e media affini – è lui che tiene in piede la baracca, con linee molto dinamiche a fondersi con la batteria di un altro asso, il batterista Danny Wagner.
Lo show dei Greta Van Fleet si può inquadrare con due numeri tratti dalla prima parte del concerto: 3 brani, 24 minuti. La band – presentando i pezzi “Highway tune”, “Edge of darkness”, “Black smoke rising”, tratte dall’EP “From the fires” del 2017 – si lancia in assoli lunghissimi, cose che negli ultimi 25 anni non facevano nemmeno i Black Crowes. Chitarra dietro la schiena, assoli infiniti, jam session e canzoni tirate oltre il limite del consentito – e il pubblico che sbarella ed esulta.
Con l’esecuzione della cover di “The music is you” di John Denver, Sam appoggia il basso – che riprende poi sul finire del concerto per la canzone “The cold wind” – e passa alle tastiere. Il gruppo dei fratelli Kiszaka regala ai suoi spettatori una breve parentesi caratterizzata dal suono della chitarra acustica di Jake che, subito dopo il brano “You’re the one”, abbandona per riabbracciare la sei corde elettrica.
I Greta Van Fleet eseguono a tappeto, una dopo l’altra, canzoni tratte dal loro ultimo album “Anthem of the peaceful army” e – soprattuto durante il brano “Black flag exposition” – propongono nuovamente parti strumentali e lunghi assoli.
I Kiszka e Wagner dal vivo suonano sul serio e non si risparmiano; si fanno prendere dalla foga del live e, “sporcando” la precisione raggiunta in studio di registrazione, rivelano il loro potenziale.
Con le canzoni “Flower power” e “Safari song” – che trovano grande partecipazione da parte del pubblico – si giunge alla fine del concerto, che sembra arrivare troppo presto. Ma, dopo tutto, non si può chiedere di più a una band che ha all’attivo solo due EP e un album. Si ha, infatti, l’impressione che Josh, Jake, Sam e Danny lascino in sospeso qualcosa; forse un capitolo della loro musica ancora da scrivere.
La vulgata che li vede copia carbone dei Led Zeppelin non si sarebbe diffusa se non ci fosse qualche solido fondamento, riconducibile per lo più alle note altissime della voce del frontman che ricorda da molto vicino il vecchio Robert. E, se immerse in armonie che ricordano da molto vicino quelle di quattro decenni fa, possono bastare per meritarsi una lettera scarlatta. Ma dal vivo, grazie a Dio, i Greta van Fleet sono molto di più. Padroneggiano la scena e dispongono dei fans come veterani, non come i ragazzi che sono in realtà. Non avanzano alcuna pretesa di originalità e molti di noi li hanno “già sentiti”, ma la loro promessa di una qualità, tutta basata sul guitar rock, è mantenuta appieno.
Questa band che danza disinvolta sul bordo della parodia, a pochi centimetri da Spinal Tap con quelle movenze e quelle somiglianze, che si sporge fin sull’orlo oltre il quale la critica potrebbe farla a pezzi, di tutto ciò se ne frega e ripaga un pubblico che, per lunghi tratti, sembra essere là perché da anni non aspettava altro, non importa l’età. Questa band che pare decadente dentro senza mai essere stata dissoluta, pare pronta per gli anni Venti – anche se, stasera, era il 24 novembre 1973. Circa.
Setlist:
“Highway tune”
“Edge of darkness”
“Black smoke rising”
“The music is you” (cover di John Denver)
“You’re the one”
“Age of man”
“Black flag exposition”
“Watching over”
“The cold wind”
“When the curtain falls”
Bis:
“Flower power”
“Safari song”
FOTO DA WIKI
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