La gente che insiste sul tasto del rock ormai morto e sepolto non ha mai – ovviamente – prestato attenzione ai Muse. Per i passati due decenni, questo power trio inglese con tendenze al prog è passata dal riempire i piccoli club di Londra a fare il tutto esaurito negli stadi di mezzo mondo. La band ha una fama enorme in Europa fin dall’inizio del nuovo secolo, ma in America sono riusciti ad affermarsi solo dopo cinque album e un passaggio live in apertura degli U2.
Il momento più alto dell’ultimo tour europeo della band è coinciso con il live davanti a 60.000 persone svoltosi a Roma, quando i Muse hanno eseguito 20 tracce prese dall’arco intero della loro carriera mentre telecamere ad alta definizione filmavano il tutto. Il risultato è diventato un film-concerto, Live at Rome Olympic Stadium ma anche un CD DVD e Blu Ray.
Rolling Stone ha parlato con il frontman dei Muse Matt Bellamy sul disco live, sul successo finalmente ottenuto negli USA e il motivo per cui il prossimo album sarà più minimale. In alto, si può ascoltare intanto il live romano in versione audio, presentato via Spotify.
Cosa vi ha spinto a prendere la decisione di filmare il concerto romano?
?A Roma non avevamo mai suonato in un posto più grande di un teatro, anche se ampio, ed eravamo entusiasti al pensiero di tutti questi fan dal Sud Italia e altri posti che convergevano sulla Capitale per venirci a vedere. Sapevamo che la maggior parte degli spettatori non ci aveva visto dal vivo in oltre dieci anni. E la cornice era lo Stadio Olimpico. Nel 2011 avevamo suonato in una situazione simile con i Rage Against the Machine a Los Angeles. Un concerto grandioso. Quello che distingue gli stadi olimpici da altre situazioni outdoors è che per legge devono essere completamente all’aperto, compreso lo spazio sopra le teste del pubblico, quindi c’è questa forma quasi di scodella. E gli spettatori non sono tanto in alto rispetto a quanto succede in uno stadio del football, per esempio.
Non avevamo fatto un album live per gli ultimi due dischi, e volevamo che questo lavoro, sia la parte audio che video, catturassero i migliori momenti di quei CD, ma anche alcune delle cose più estreme che abbiamo fatto finora visto che per il futuro vogliamo andare in un’altra direzione.
A quali cose estreme ti riferisci?
?Per noi lo sono, ma dipende dal tuo punto di vista. Voglio dire, sperimentare con la musica elettronica, sperimentare con aspetti più morbidi della musica che possiamo fare con la band, oppure aprire le nostre “connessioni” col pubblico. Penso che il concerto di Roma abbia davvero mostrato molto quest’ultimo aspetto, questo modo di essere con il pubblico in modi che prima non avevamo fatto: letteralmente uscire oltre il bordo del palcoscenico per toccarli, interagirci.
Madness dal live a Roma:
Un altro elemento di questo live è che la scaletta volutamente non ha compreso episodi più prog come Stockholm Syndrome e Butterflies and Hurricanes. Saranno parte di quello che faremo in futuro, ma volevamo catturare un certo elemento che è molto diverso dal nostro ultimo live, che era stato filmato al Wembley Stadium ed era molto più prog-rock.
Si sente della pressione in più a uscire su un palco quando sai che stai venendo filmato?
?Sì. È difficile evitare quella sensazione di pressione in più. Molte band, come gli U2 per esempio, fanno la scelta di filmare uno dei loro live in un posto dove sanno che esibiranno per più sere di fila. Questo perché se qualcosa va male la prima sera, si può sempre recuperare dopo. Noi sentivamo di più la pressione anche per questo: le camere da presa era tutte al loro posto ma c’era solo una sera a disposizione. Non potevamo sbagliare. Non potevamo scazzare. Ma quando esci sul palco e senti il peso e l’energia di 60.000 persone, specialmente a Roma, è una cosa travolgente. Ti dimentichi che ti stanno riprendendo abbastanza in fretta.
Essere il frontman di una band che suona il tour negli stadi non è semplice. Specie quando stai suonando davanti all’equivalente di quattro palazzetti dello sport stracolmi allo stesso momento, e specie pensando quanta parte del pubblico è lontanissima da te.
?Devi avere nervi saldi perché di fatto è un grosso rischio. Suonare in uno stadio non funziona per tutti. Essenzialmente stai scommettendo alla grande. Bisogna investire tutto sulla produzione, e non tirarsi indietro davanti a nulla. Immagina che il palcoscenico, che doveva rappresentare una enorme centrale nucleare, è stato fatto su misura per noi ed è stato costruito prima ancora di aver venduto un singolo biglietto.
Molte delle nostre canzoni hanno momenti che invitano al coro, o all’urlo collettivo. È quasi come una parata militare o una specie di rivolta. Non so come chiamare questa cosa. Ci sono momenti in cui gli spettatori davvero si sentono parte della musica. I cori, le urla, i pugni al cielo e tutte queste cose… Non siamo solo noi del gruppo a quel punto, a significare qualcosa. Siamo tutti noi, Muse e pubblico, che facciamo qualcosa insieme.
La prossima tappa del tour per voi sarà in Australia. Sono le ultime date del tour o pensate di aggiungere impegni extra??
No, sarà la fine del tour. Forse però l’anno prossimo potremmo fare un festival negli Stati Uniti e magari uno in Europa. Ma tutto qua. Ci fermeremo a dicembre.
State già pensando al prossimo disco?
?Sì. È interessante perché la fase di scrittura in pratica è iniziata il giorno dopo il concerto a Roma. Ho un’immagine abbastanza precisa di come vorrei che fosse il prossimo album. Sarà una specie di risveglio, una sorta di “mattina successiva”, con l’idea che ci sia una reazione del tipo “Che cazzo? Che cazzo è successo? È stata una cosa da pazzi”.
In un certo senso la band si è imbarcata in un percorso folle da quando ci trovammo ed eravamo appena adolescenti. Allora non eravamo molto estroversi in scena. Stavamo per conto nostro, ci nascondevamo dietro la musica. In questo senso il concerto di Roma rappresenta il capovolgimento quasi completo a livello di personalità rispetto a quando abbiamo esordito. Vorrei che tornassimo semplicemente alla musica che suoniamo, mettendo al centro gli strumenti: la chitarra, il bassom la batteria e le loro personalità.
Ho questa sensazione forte sul prossimo album, che debba essere qualcosa che sia privo di tutti quegli elementi in più con le quali abbiamo sperimentato negli ultimi due album – cioé elettronica, lavori sinfonici ed orchestrali e tutte quelle cose lì. Sento che sarebbe bello ritrovarci e ricordare a noi stessi le basi di chi siamo.
L’anno prossimo vedrà anche il ventesimo anniversario dalla nascita della band.?
Esatto. E allora la sensazione è che sia giusto iniziare proprio l’anno prossimo a fare un disco nuovo. Quando dico che voglio tornare alle origini non intendo dire al tipo di musica che facevamo vent’anni fa. Sarebbe disastroso. Quello che voglio dire è che sarebbe giusto tornare a quel tipo di mentalità, quando ci interessava essere bravi a suonare i nostri strumenti, volevamo solo suonare insieme e fare musica che fosse giusta, che avesse un suo perché. Penso che sarà quella la direzione del nuovo album.
Sei mai stato tentato dall’idea di fare un disco solista??
No, veramente no. No. Non mi interessa. Mi piace molto suonare con gli altri, collaborare, cose così. Semmai penserei a fare cose da solo per musicare un film o altri progetti dove la vanità non è un elemento centrale al progetto.
Quello che mi stupisce è che dopo vent’anni sembrate crescere con ogni album che pubblicate. Le band intorno ai vent’anni d’età cominciano a mostrare i segni del tempo che passa, le crepe… Si rompono.
Sì, ma penso che quella sia l’influenza dell’industria musicale. Ha una tale energia negativa! Io di questi tempi cerco di stare alla larga dalla gente che lavora per le case discografiche. Mi tengo lontano da quelli che parlano la lingua degli affari perché quello che ti dicono è sempre negativo. Della serie, “Ma che stai dicendo? Ho appena suonato davanti a 60.000 persone! Le cose vanno alla grande!”.
Deve essere stato da pazzi affrontare un proprio tour negli stadi in Europa e poi arrivare qui in America per aprire per gli U2.
Sicuramente. Penso che a chiunque apra per loro si azzeri l’ego, perché loro lavorano a un livello che è semplicemente fuori da questo mondo.
Pensi che finirete a fare come gli U2, ancora in giro a 50 anni?
?Non lo so. È difficile fare previsioni. Non riesco a immaginarlo, ma penso che queste band gigantesche come i Rolling Stones e gli U2 stiano cambiando la definizione stessa di rock. Il rock una volta era “muori giovane, lavora duro e non farti dimenticare”, ma questi gruppi stanno cambiando la percezione di quello che una rockstar può fare o non fare. Non so. Penso che ci sia una possibilità che noi si possa essere ancora rilevanti anche quando avremo 50 anni.
Suonate Knights of Cydonia a ogni singolo concerto. Avete mai pensato di escluderla dalle scalette?
Non riesco a immaginarmelo. L’abbiamo sempre suonata fin da quando l’abbiamo composta, per cui è difficile pensare di non suonarla più. Ma non si può mai dire. Magari le toglieremo la spina al prossimo disco!
È la vostra Where the Streets Have No Name. L’intero stadio perde la testa quando la suonate.?
Esattamente. Quando gli U2 suonano Streets, impazziscono tutti. Siamo stati fortunatissimi a suonare con The Edge quando gli U2 avrebbero dovuto suonare a Glastonbury e Bono ebbe quei problemi alla schiena. Mi ricordo Edge uscire sul palco per suonare Streets e ho capito come ci si sente a suonare quella canzone con 120.000 persone che impazziscono:
Come farete ad andare oltre questo ultimo tour? Riuscirete a superarvi??
Sì, penso che potremo. Ovviamente se penso alla situazione americana sarà più semplice perché qui suoniamo nei palazzetti del basket. Ma questo non è un elemento davvero importante – la grandezza dello spazio dove suonare, intendo. Penso che possiamo sicuramente migliorare la qualità dello show. Sono andato a vedere The Wall per pensare alle varie possibilità. Sento che siamo una band, e con l’idea giusta… Sto già iniziando a pensare ad andare a un livello più concettuale, non necessariamente basato su una narrazione che vada da un inizio a una fine, ma certamente a qualcosa che sia possibile fare in un’arena ma con un altro livello di produzione.
Ci sono continuamente nuove tecnologie che compaiono sul mercato. Paragona The Wall com’è andato in scena ora rispetto a come era all’inizio. C’è una differenza enorme e se parliamo solo di dimensioni, possiamo aumentarle. In Europa non penso che sia possibile suonare in posti più grandi di così, ma possiamo, ripeto, sicuramente rifinire la qualità del concerto.
Ok. Ma se il prossimo album fosse più minimale, questo si rifletterebbe anche nel tour?
?L’idea è… Voglio dire, è presto per parlarne perché non c’è nemmeno l’album. Devo mettere le mani avanti e dire a priori che qualunque cosa dica potrebbe essere contraddetta da quello che succederà una volta in studio. Ma se dovessi fare delle predizioni in questo momento, come dicevo poco fa, davvero vogliamo essere più espressivi e più concentrati sulla nostra abilità come musicisti e sugli strumenti che suoniamo e chi siamo, e vorremmo che fosse quello il suono che caratterizzerà l’album che verrà.
In altre parole, per ripetermi, voglio togliere gli elementi elettronici e quelli orchestrali. E penso tu abbia ragione a livello di tour. Penso sia possibile mischiare le cose. Magari potremmo finire a suonare nei teatri di quando in quando. Altre volte probabilmente faremo cose a livello più alto e quindi suonare nelle arene. Magari non a lungo come successo adesso, ma magari per un paio di sere in città più grandi. E sopra a tutto questo potremmo fare festival. Stavolta non ne abbiamo fatti molti, eccetto uno in Giappone. Potremmo farne un paio l’anno prossimo, ma abbiamo mancato tutti i festival europei. Riesco a immaginare uno scenario in cui ci esibiamo in diverse combinazioni, i posti al chiuso e più piccoli per divertirci e ritornare alla sensazioni di club affollato e pieno di gente sudata e poi fare i grandi spazi per i fan che non sono riusciti a vederci in una situazione più piccola. E poi questi live più pensati, più progettati. Abbiamo affrontato la cosa nell’ultimo tour, ma penso possiamo svilupparla ulteriormente.
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