Sarà scontato chiamarlo con i suoi cento diversi appellativi come “Slowhand”, “God”, “The Man of the Blues” e via dicendo, e quindi mi limiterò, con eterna riverenza e umile riconoscenza, a chiamarlo semplicemente Mr. Eric Clapton. Cosa potrei mai dire o scrivere di questo uomo e artista, l’unico e sottolineo l’unico artista che nella storia nella musica è stato inserito per tre volte nella Rock’n’Roll Hall of Fame grazie alla sua vulcanica carriera da solista, grazie alle invenzioni con gli Yardbirds e grazie agli innovamenti e rinnovamenti del periodo Cream; il secondo chitarrista di tutti i tempi dopo Jimi Hednrix (secondo la rivista Rolling Strones, ndr), cosa, dicevo, potrei dire io povero mortale e uomo di tutti i giorni che non sia stato detto o scritto… nulla direi. Solo un sincero ringraziamento per averci regalato la sua immensa, dolce, talentuosa e spregiudicata classe di gentleman della sei corde. Esagero? non sfidatemi potrei continuare a lungo.
Semplicemente Mr. Eric Clapton, mie care amiche e miei cari amici.
Un nuovo album, il ventesimo in studio da solitario chitarrista senza il giogo di essere parte di una band; un album che esprime la necessità che il blues, il rock o perdonatemi se dico solo la musica continui a scorrere adesso come un tempo e adesso come in futuro.
Mr. Eric Clapton non deve dimostrare proprio niente a nessuno ed è per questo che come sempre, col sorriso, o ghigno soddisfatto se volete (date uno sguardo alla copertina), rivolta un vecchio calzino (“Old Sock” e il titolo dell’album, appunto vecchio calzino) e tira fuori dodici brani magistralmente eseguiti con la solita classe e la sempre viva semplicità che contraddistingue l’uomo e il musicista.
Dodici i brani presenti, due gli originali composti proprio per l’occasione mentre le altre dieci tracce sono classici del passato che Mr. Eric Clapton si diverte a modificare e riarrangare a suo piacimento e delizia. Il primo originale a cui i miei padiglioni auricolari vanno incontro si intitola “Gotta Get Over” e un brivido mi assale sin dalla prima nota e non mi lascia fin quando il brano non è terminato. Adoro il sound e l’atmosfera che Mr. Eric Clapton riesce a creare, adoro quel senso di ritmo allegro che è riuscito ad infondere al brano e poi che cori quelli di Chaka Khan (la ricordate la regina del funky e del soul? Sì, proprio lei). Il secondo inedito è “Every Little Thing”, più lento, un blues che sfocia in un piacevole ritornello reggae, piacevole, pacato che poi si butta in un solo di chitarra alla Clapton, ops, scusate ma il disco è di Mr. Eric Clapton… Brano che si conclude con un coro di bambini che rendono ancora più gioiosa la festa… “..apri il tuo cuore e lascia che entri l’amore…”
E poi, come accennavo in precedenza, classici brani con i quali ha vissuto il Nostro amato chitarrista e non solo, brani che lo hanno accompagnato fino a questo suo momento di estrema e naturale giovinezza. Tra i miei preferiti una dolce e sognante song scritta nel 1933 da Huddie William Ledbetter, “Goodnight, Irene”, (quanti ricordi per il sottoscritto). Una versione di “Still Got the Blues” da togliere il fiato, tra il blues e uno struggente ritmo shuffle-jazz. A mio parere questo è un grande e umile tributo ad un altro grande chitarrista che ci ha lasciati nel febbraio 2011 e mi riferisco a Gary Moore, artista irlandese di talento ed enorme valore. Song impreziosita da Mr. Eric Clapton e da un suo solito perfetto solo di chitarra acustica questa volta, dalla voce calda di ‘Slowhand’ e dal suono dell’Hammond saggiamente ammaestrato da Steve Winwood.
Sapevo che sarei rimasto senza fiato ascoltando le versioni personalizzate, impreziosite e ‘musicalmente impersonificate’ da Mr. Eric Clapton. La dolcezza, il calore espresso dal tono di voce sempre così rassicurante e corposo, la sua chitarra rasserenante e unica in stile e, lo ripeto, classe. Ascolto con piacere altri classici come “The Folks Who Live On the Hill”, “All of Me” un brano considerato uno standard della musica jazz, vi sfido a non ticchettare con il piede tenendo il tempo di questa stupenda canzone. Vi do una dritta, in confidenza, ma non ditelo a nessuno: al basso e alla voce c’è Sir Paul McCartney. Mica poco… Riconoscibile lo stile di suono e lo stile di voce di J.J. Cale in “Angel”, altra traccia ricca di avvolgente atmosfera. E poi i ritmi reggae, oramai soliti, a cui ci ha abituato da tempo il signore bianco del blues e che sono utilizzati per trasformare in modo totale dei grandi pezzi blues e soul come “Further on Down the Road” di Taj Mahal e “Your One and Only Man” di Otis Redding.
La conclusione di “Old Sock” è un altro classico fra i classici, una pietra miliare di George Gershwin che lo ha musicato e con il testo del fratello Ira, “Our Love Is Here to Stay” utilizzato nel 1938 per il film “Follie di Hollywood” (“The Goldwyn Follies”, titolo originale).
Insomma, l’ennesimo capitolo di Mr. Eric Clapton corrisponde all’ennesima pietra depositata sulla strada lastricata di successi e sofferenze che conduce questo infinito artista verso l’assoluta immortalità.
Indosso le cuffie di nuovo, spengo la luce e continuo a sognare… Consigliato…
myword.it
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