Un doppio cd che è un atto d’amore, dove tutti gli artisti, straordinariamente in sintonia una volta tanto, riallacciano le fila di un discorso che sembrava perduto: invece la leggera verniciatura che viene data ai pezzi lascia intravedere tuttora lo splendore iniziale
Alzi la mano chi non ha amato questi quattro ragazzacci, almeno tra quelli che hanno superato gli ‘anta’. Che ragazzacci non sono più perché ormai veleggiano tutti verso i settanta.
L’omaggio a loro dedicato è tardivo, crediamo, perché avrebbero meritato l’ossequio molto prima, e non è nemmeno vero che i tributi si fanno quando gli artisti sono spenti.
Certo, non guadagnano più le prima pagine delle riviste musicali, ma la loro carriera non è affatto finita (Neil Young poi… tutt’altro che ozioso visto che nel 2012 ha fatto uscire Americana, ed ora è in procinto di deliziarci con un nuovo disco di inediti e ri-accompagnato dai Crazy Horse).
Music is Love però, tranne rare eccezioni, è fatto di materia antica: di quei brani cioè che hanno segnato una generazione e che hanno fatto sognare milioni di ragazzi e che ci riportano indietro di secoli quando l’illusione di un mondo nuovo e più a misura d’uomo poteva davvero essere credibile.
Un doppio cd che è un atto d’amore, dove tutti gli artisti, straordinariamente in sintonia una volta tanto, riallacciano le fila di un discorso che sembrava perduto: invece la leggera verniciatura che viene data ai pezzi lascia intravedere tuttora lo splendore iniziale. Come non rimanere incantati di fronte a monumenti musicali come For what it’s worth, Helplessly hoping, Guinnevere, Love the one you’re with, Teach you children, Cortez the killer, Out on the weekend e, senza citarli pedissequamente tutti e ventisette, Music is love che da il titolo all’album?
La scelta dei ‘singers-songwriters’, come viene sottolineato nelle note di copertina, non era affatto facile, dato l’immenso patrimonio a disposizione, ma un’equa ripartizione tra la sconfinata produzione, ne attesta la validità dell’operazione.
Ad una prima occhiata si è preferito ‘pescare’ di più dall’album Crosby, Stills & Nash, quello del ’69 dove i nostri tre eroi erano seduti su uno scalcinato divano e la cui copertina appunto, a quelli di una certa età, trasmette ancora nostalgiche sensazioni. Ma ad una disamina più attenta ci si è resi conto che non si è tralasciato nulla: ovviamente abbiamo cover da Deja vu, il primo disco del gruppo al completo, dal doppio dal vivo Four way street, con la prima parte acustica che rimane tutt’ora una delle esibizioni più coinvolgenti della storia del rock. Abbiamo cover dalle avventure solistiche, come per esempio ‘Cortez the killer’ da Zuma di Neil Young del 1976 e dai due dischi ‘personali’ di Crosby: ‘Music is love’ che è l’inno generazionale per eccellenza, l’ultimo afflato del ‘power-flower’, tratto dal fondamentale If I could only Remember my Name e la splendida Tracks in the dust colta da Yes i Can e che Crosby realizzò dopo ben diciotto anni dal primo.
Insomma, inutile elencare tutte le delizie: però vanno segnalate curiosità e sparse lodi. Le curiosità riguardano le presenze di Judy Collins, che fu la donna di Stills e alla quale il musicista dedicò l’immortale ‘Judy blue eyes’ e la figlia di Stills che si confronta con ‘Love the one you’re with’, il brano che compariva nel primo disco singolo del padre ed apriva Four way street.
Le lodi riguardano Willie Nile ed Elliott Murphy, rispettivamente con ‘Rockin’ in the free world’ e ‘Birds’ che spostano dalla costa occidentale a quella orientale il senso dei brani; Carrie Rodriguez che rende straordinaria una ‘Cortez the killer’ che pensavamo non potesse mai essere eguagliata in bellezza; e infine Mary Lee’s Corvette che con ‘Tracks in the dust’ ci ha ricordato che anche agli inizi degli anni novanta Crosby era in grado di regalarci perle dal valore inestimabile.
Disco emozionale ma non solo per nostalgici.
(myword)
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