Se quindi, stando alle leggi della fisica, una parte dell’energia prodotta in un lavoro va dispersa nell’universo, c’è da credere che quella prodotta dai Muse regalerà al cosmo sinfoniche, potenti buone vibrazioni
Non è possibile realizzare una macchina termica che abbia un rendimento del 100%, perché una parte dell’energia prodotta andrà inevitabilmente e irreversibilmente dispersa sotto forma di calore, alimentando l’entropia dell’universo.
Questo è il postulato del secondo principio della termodinamica, a cui i Muse si sono ispirati per dare il titolo al loro ultimo lavoro, The 2nd law appunto.
E se si parla di energia prodotta, in questo caso non può che trattarsi di musica. Ottima musica.
L’ultimo lavoro della band di Matthew Bellamy è sorprendente: un concentrato di potenza, rock sinfonico, stili diversi che si mescolano per dar vita a uno degli album più eclettici dell’ultimo periodo. Un disco che rasenta a tratti il capolavoro.
L’inizio è grandioso: Supremacy piomba sul pubblico con le sue chitarre ruvide e la voce di Bellamy ci regala subito alcuni degli acuti che l’hanno resa negli anni inconfondibile.
Arriva poi Madness, meravigliosa. L’atmosfera si fa più tenue, più intensa, i battiti rallentano e nel brano emergono echi di r’n b e richiami a Prince.
Decisamente più grintosa è Panic station, dove il gruppo tira fuori tutta la sua anima rock.
Dopo un preludio, prende avvio Survival, primo singolo del disco, ma soprattutto inno ufficiale delle ultime Olimpiadi. Un brano epico, perfetto mix tra il groove della band e la potenza del coro sinfonico. Qui a farsi sentire sono i Queen, e la canzone resta uno dei momenti più alti dell’album.
Follow me è un tipico brano in stile-Muse, con il tocco barocco delle tastiere. Ad impreziosirlo è stato inserito il battito del cuore del figlio di Matthew e della compagna Kate Hudson.
Arriva quindi la rabbia di Animals, seguita dalla leggerezza di Explorers, dall’atmosfera sospesa.
Si riprende forza con Big freeze, brano dalle sonorità solari, e poi si spicca il volo con Save me, che spiega le sue ali in un intenso crescendo finale.
Liquid state lascia spiazzati: i Muse ancora una volta sperimentano nuove strade. Così come in Save me, la voce non è del leader Bellamy, ma del bassista Christopher Woltenstholme.
In chiusura The 2nd law, divisa in due parti, Unsustainable e Isolated system. Mentre nella prima domina un tappeto sonoro sontuoso, con violini frenetici e incursioni orchestrali, nella seconda i toni si fanno più crepuscolari. Dopo tanta musica, il disco si chiude lentamente, in una calma apparente.
The 2nd law è un album impegnativo, con il quale i Muse hanno scelto ancora una volta di rimettersi in gioco. Un gran ritorno per una delle più interessanti realtà musicali del rock.
Se quindi, stando alle leggi della fisica, una parte dell’energia prodotta in un lavoro va dispersa nell’universo, c’è da credere che quella prodotta dai Muse regalerà al cosmo sinfoniche, potenti buone vibrazioni.(myword)
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MUSE
The 2nd Law
2012 (Helium 3 / Warner) | pop-rock
di Matteo Meda, Marco Sgrignoli Abbiam voluto concedergli tempo, al sesto album in studio dei Muse. Qualche ascolto e riascolto in più per capire se dal suo guazzabuglio Queen/Radiohead/dubstepparo alla fin fine emergesse qualcosa di meritevole. Il risultato? Qualcosa si salva, ma è ben poco. Il disco resta debole, disordinato, e – diciamolo subito – si qualifica senz’altro come il peggior episodio nella carriera della band inglese. Di cui oggi rimpiangiamo addirittura quel “The Resistance” che così poco ci era piaciuto.
Il problema, per una volta, non è la mancanza di misura. Nonostante il gusto profondamente kitsch dei pezzi, “The 2nd Law” segna uno sgonfiamento – parziale, sia chiaro – delle manie di grandezza che da sempre accompagnano lo stile Muse e, per logica conseguenza, un mezzo ripudio dello stesso. Per capirci: niente suite interminabili, niente epica space-western, pochi scopiazzamenti classici e persino molti meno barocchisimi del solito. Il guaio è un altro: levati orpelli e atmosfere evocative in favore di vere e proprie pop song, la loro si rivela una musica a dir poco inconsistente.
La grande varietà stilistica, sulla carta un punto di forza del disco, a conti fatti appare mal spesa. Incapace di andare all’osso del suo linguaggio musicale, il trio si aggrappa a un eclettismo pacchiano stile “Queen anni Ottanta”, inseguendo loffie smancerie paranatalizie (“Explorers”, evidente autocitazione di “Invincible” scritta ben quattro anni or sono), fetidi flirt col George Michael di “Faith” (la già onnipresente e parimenti insopportabile “Madness”) e imbarazzanti seppur caricaturali esperimenti operistici (l’inno olimpico “Survival”). Un discorso a sé va fatto per “Save Me” e “Liquid State”, scritte e composte dal bassista Chris Wolstenholme: la prima è solo insostenibilmente melensa, la seconda sembra fuggita da un album dei Foo Fighters, in cui avrebbe invece fatto bene a restare.
La confusione regna – e chiamarla entropia sarebbe un avallo immeritato al concept dell’album – ma qualche episodio si salva, seppur senza eccellere. Tra questi, come facilmente prevedibile, i più roboanti: la smargiassissima “Supremacy” – leggi il Bolero di Ravel sulla base della zeppeliniana “Kashmir” – l’euro-tunza “Follow Me”, coprodotta da Nero e le due metà della title track – quella “Unsustainable” più inutile che brutta e tanto chiacchierata per i suoi bass drop stile Skrillex e “Isolated System”.
“The 2nd Law” era per certi versi l’album più difficile per i Muse, che ben sapevano di andare in ogni caso incontro allo sdegno dei più. Matthew Bellamy e compagni se ne sono fregati e han tirato dritto verso il nulla. Hanno prodotto il loro disco più statico, nonostante l’estrema varietà di linguaggi affrontata negli intenti con pudore e in maniera in realtà a dir poco maccheronica. Non facendosi mancare nemmeno quello sguardo anche un filo saccente, pronto a lanciarli contemporaneamente nelle braccia dei sempre più numerosi fan e nelle fauci della critica più snob. E proprio i detrattori trarranno da “The 2nd Law” il maggior vantaggio: una prova inconfutabile a sostegno delle proprie (spesso ingiuste) tesi. Autogol, e di quelli che promettono molto male sui possibili sviluppi futuri.(ondarock.it che da 5 su 10 punti contro i 7 di myword.it)
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E’ tipico dei grandi dischi avere un esordio con critiche assolutamente discordanti tra loro. Questo in realtà è un disco di egregio livello, e probabilmente se ne parlerà a lungo. Come già se ne parla in maniera molto interessata nel mio ambiente do conservatorio. Ovviamente ho solo espresso la mia. Saluti Franz
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E io sono perfettamente in sintonia. A me piace molto e dal vivo sara’ ancora meglio. Ci sono gia’ in rete dettagli anche sull’allestimento scenico che promette bene. Poi mi piace Franz essendo il mio nome visto che sono di origini austriache. E mi piace anche Molko il chitarrista di Placebo. Ciao e grazie del tuo intervento, stay tuned!
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Decisamente un gran disco. Un mix ben dosato di generi e idee. A tratti può ricordare grandi produzioni del passato, senza mai sfociare nel plagio. I Muse hanno sfornato forse il capolavoro del 2012 e non solo… Disco che spiazza all’inizio ( come accaduto sempre per le produzioni più famose del passato ), ma che poi prende vigore in maniera fortemente decisa via via che lo si ascolta con attenzione. Finalmente un album di livello vicino a quello dei loro 3 primi lavori.
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Sono perfettamente d’accordo.Per me rappresenta la summa del loro repertorio con in aggiunta passaggi da dubstep e pop . Visti live gia’ due volte e la terza sara’ a Pesaro il 17 novembre .Sono dei musicisti straordinari che dal vivo non si risparmiano in nulla.Poi dopo aver visto e sentito Haarp 6 o 7 anni fa me ne sono innamorato. Grandi! grazie del tuo intervento Luka 77 and stay tuned!
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