A tre anni dall’ultimo lavoro Musa, la Rei si conferma una delle poche realtà serie della nostra musica. Lontana da qualsivoglia tentazione divistica ed intellettuale che è spesso marchio delle ‘presunte impegnate’
L’inizio è col botto, ma non musicalmente, nel senso che c’è una frase, nel brano d’apertura, che vale tutto il disco e pure tutto il catalogo della Mondadori e della Newton Compton messe insieme (oddio, per quello non ci vuole poi molto, a dir la verità) e che potrebbe essere attribuita all’autore, Andrea Appino degli Zen Circus, ma secondo noi con lo zampino della stessa Rei: La donna è donna, questo vi ho sentito dire, e giuro che il significato io non l’ho capito mai, perché se partorisco allora so soffrire, è come dire che chi nasce ha un bel talento per morire.
Ma ci sono altre delizie in questo disco, davvero civile in questa terra di cachi. Innanzi tutto la triade centrale: ‘Nei fiori infranti’ bellissima ballata firmata da Paolo Benvegnù, che conferma anche la liaison tra i due artisti che in precedenza avevano ‘partorito’ una cover del tutto speciale: ‘Il mare verticale’. Poi ‘Che male c’è’ col testo di Riccardo Senigallia e che è dedicata al povero Federico Aldrovandi (troppo tardi per salvarmi, troppo presto per morire) e che dimostra ancora una volta le qualità drammaturgiche della Rei, qualità queste specificatamente rare nella nostra canzone italiana, e brano che viene ripreso nel finale con un arrangiamento orchestrale di Ennio Morricone. Non possiamo tralasciare ‘Il modo mio’ pezzo scritto in collaborazione con Cristina Donà (e si sente, altroché) e per il quale subiamo il fascino di un’interpretazione aerea ed efficace.
Attorno a questo nucleo centrale ruotano altre canzoni – poche in verità e vivaddio, sembra essere tornati ai tempi delle semplici due facciate di un LP – più o meno convincenti. Ci persuade ‘Qui è dentro’ che è un terribile spaccato della situazione delle carceri italiane, e pur e la finesse acustica di ‘E mi parli di te’ cantata insieme a Pierpaolo Capovilla, voce de ‘Il Teatro degli Orrori.
Personalmente ritengo un piccolo passo falso ‘Mani sporche’ un brano dall’andamento progressive e per il quale l’autrice s’affida alla Bud Spender Blues Explosion e che sembra in qualche modo spezzare la coerenza stilistica dell’intero album.
A tre anni dall’ultimo lavoro Musa, la Rei si conferma una delle poche realtà serie della nostra musica italiana ed aggiungo: lontana da qualsivoglia tentazione divistica ed intellettuale che è spesso marchio delle ‘presunte impegnate’.(myword.it)
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