Lui è un alieno, è una creatura celestiale, è il nostro incubo nipponico (vedere foto all’interno), è la nostra matrona, il nostro sogno irrequieto, il nostro contatto con l’altra dimensione.
Antony è tornato con un’opera dal vivo, registrata il 2 e il 3 settembre del 2011, ma che non sembra dal vivo, ed accompagnato dalla Danish National Chamber Orchestra.
Onestamente quando un artista rielabora le sue migliori cose e si fa armonizzare da un’intera orchestra arriccio un po’ il naso, forse perché esperienze passate mi hanno indotto a pensare che è operazione dispendiosa ed inutile. Penso per esempio alla prosopopea insopportabile di Travelogue di Joni Mitchell, agli ultimi due lavori di Peter Gabriel, o a certe narcisistiche avventure di Sting.
No, per quanto se ne possa pensare il rock con le orchestre mostra ancora il passo e se fosse per me lo eviterei a priori.
Ma Antony è un alieno (oltre che ad aver sempre utilizzato orchestrazioni), non è di questa terra, per cui l’approccio della sua arte con la classicità può offrire fiori inaspettati.
Ed infatti è così: sin dal primo brano (Cut the World) ci si accorge che la poesia della sua musica è intatta e che quel che è stato aggiunto non cambia di una virgola il risultato: quel che si ascolta è Antony in percentuale immutato.
Ma bisogna arrivare a You are my sister uno dei suoi brani più commoventi per rendersi conto che vorresti ascoltare il pezzo ininterrottamente per una giornata intera, prenderti una pausa e poi ricominciare daccapo.
Ripeto: Antony non è di questo mondo, è creatura diafana e immateriale, per cui ogni confronto (tempo fa qualcuno parlò del migliore Elton John) mi pare superfluo. E’ persino artista atemporale, nel senso che attraversa secoli e millenni con la facilità di un volo di una farfalla (Kiss my name sembra una cavalcata nelle melodie cinque-seicentesche).
La drammaticissima I fell in love with a dead boy, Rapture (provate a rimanere indifferenti ad una canzone del genere), la meravigliosa The crying light e Twilight completano un disco che riesce a sorprendere nonostante i brani conosciuti possano far pensare il contrario.
Perché la sorpresa di Antony è soprattutto quella voce dal vibrato inquietamente umanissimo, che lascia stupiti e ammaliati.
L’ho visto dal vivo anni fa. Uscii dal concerto vagamente stordito. Per la poesia del suo canto e con l’impressione d’essermi imbattuto in un’esperienza del terzo tipo.
Lo è anche Cut the World. Da amare incondizionatamente.
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