ECCO ALCUNE RECENSIONI TROVATE IN RETE CHE MI TROVANO D’ACCORDO , MA IN PARTE.
RESTA UN BEL DISCO, SECONDO LA SUMMA DEI PRECEDENTI. CI SONO OVVIAMENTI CORI CHE DISSENTONO E CORI CHE INCITANO. DAL VIVO SONO UNA GARANZIA, SE QUALCHE CANZONE POI E’ PIU’ “LEGGERINA” O “PIU’ BRUTTINA” DI ALTRE, PAZIENZA. AVERCENE DI BAND COME I MUSE.
Piccola premessa. Origin Of Symmetry, con tutta la sua esplosiva creatività e la sua indiscutibile arte, così come il maestoso quanto surreale ed apocalittico Absolution, rimarrà, rimarranno, per sempre nella memoria di tutti noi come quella che è, che sono, la definizione della parola “Muse”. Se un ascoltatore poco attento, che non ha dato un’occhiata al panorama mainstream delle rock band negli ultimi anni, improvvisamente dovesse da noi venire, chiedendoci: “Scusa, ma cosa sono stati i Muse?” Noi probabilmente gli faremmo ascoltare una Plug-in Baby, una Stockholm Syndrome qualsiasi, come è giusto che sia.
The 2nd Law è infatti l’evoluzione naturale di quello che Matt e compagni sono voluti diventare con lo sperimentale ma parzialmente riuscito Black Holes ed il complicato e delicato passaggio attraverso gli ampi spazi musicali attraversati con Resistance, seppur non dimenticando del tutto il passato, pur creando l’inevitabile frattura con quella spensierata giovinezza che all’epoca riuscì a tirar fuori tutto l’estro di questi tre talentuosi ragazzi.
Delusione? Solo in parte. Se si pensa di voler a tutti i costi un album dove, da salvatori della patria, si ritorni ai fasti di un tempo, allora si: l’ultimo lavoro dei Muse vi deluderà. Se invece, considerando le inevitabili esperienze di vita che condizionano la creatività di un’artista, ci si aspetta un album più maturo, sperimentale ma ben definito allo stesso tempo, accorto alle nuove evoluzioni musicali ma che getti sempre un occhio verso l’Olimpo del Rock, allora quest’album vi sorprenderà in positivo. L’opera è un riassunto di quanto i Muse hanno prodotto fino ad oggi, coinvolgendo tramite occhiute citazioni, gli artisti più significativi che hanno ispirato la loro carriera.
Partiamo subito scacciando via le dicerie sulla voce di Matt Bellamy, che secondo alcuni sarebbe calata già dai tempi di Resistance: The 2nd Law si apre con Supremacy, una sorta di Kashmir dei nostri tempi; un Matt Bellamy potente, brillante ed a proprio agio non si sentiva così da tanto tempo. Supremacy è un brano solenne e coinvolgente, una riassunto di quanto elaborato ai tempi Absolution; è inevitabile sentire dei brividi sul falsetto del leader nel meraviglioso ritornello. E’ questo il leitmotiv dell’album: dare all’ascoltatore qualcosa di già conosciuto, citando grandi maestri del passato, ma che sia allo stesso tempo innovativo e coinvolgente, mai banale, fondendo il tutto con stile ed imprevedibilità, ormai marchi di fabbrica dei Muse. Panic Station nè è la prova: un po’ Another One Bites The Dust dei Queen, un po’ Kiss di Prince; così come Explorers, dove viene citato per l’ennesima volta Mercury, o la “bonovoxiana” Big Freeze. Se vi aspettate onnipresenti riff di chitarra, siete sulla strada sbagliata. Matt in quest’album usa la sua chitarra solo per impreziosire e ricamare su di un brano, dove ormai l’elettronica è incastonata nella maggior parte delle melodie portanti. La Rock/Dubstep di Unsustainable, la moderna “Numb” Madness, dove è presente un raffinato assolo di chitarra, e la “pura” Dubstep di Follow Me, ne sono la prova. Quest’ultimo è brano che farà parecchio discutere a causa della sua natura puramente Dance, seppur, bisogna ammettere, che è tuttavia ascoltabile e si fonde bene con il resto dell’album, ancor di più se sono presenti interessantissimi brani come Animals e come la “rapsodia artistica” Survival. Interessanti anche le prove canore del bassista Chris, anche bisogna sottolineare come Matt sia la vera anima carismatica dei Muse, quello che ha reso la band ciò che è oggi, ciò che gli ha fornito un’impronta indiscutibile e subito riconoscibile. I due brani da lui interpretati, Save Me e Liquid State, sembrano infatti appartenere ad un’altra -validissima, seppur priva di personalità- rock band inglese di ultima generazione.
Dando uno sguardo al moderno panorama musicale, soprattutto dando uno sguardo in Inghilterra, dove ormai sono innumerevoli le boy band fornite di chitarra rock/funky, i Muse riescono ancora una volta ad essere una boccata di ossigeno per il moderno panorama musicale, categoria flusso rock mainstream; non riavremo mai i Muse per come li intendiamo, per quello che ci hanno regalato in passato. Oggi abbiamo, ed avremo, una band che sa evolversi album dopo album, che sa regalarci nuovi sound e sperimentazione ma che allo stesso tempo si fa apprezzare nell’immediatezza grazie allo stile inconfondibile col quale si unisce classico al moderno, aggressività e raffinatezza. Che riesce insomma a regalarci album come The 2nd Law.
Voto: 7.5
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Di solito non mettiamo recensioni di dischi su questo spazio. Ma a volte l’eccezione è un dovere. E’ in uscita il nuovo, attesissimo, LP dei Muse e la nostra collaboratrice Martina lo ha sentito per noi e, dopo attente riflessioni, ha deciso di mandarci una dettagliatissima recensione pezzo per pezzo, a voi le sue impressioni…
Ci avevano lasciati nel lontano 2009 con The Resistance. Ritroviamo oggi Matthew Bellamy, Dominic Howard e Chris Wolstenholme con The 2nd Law. I Muse sono tornati sul campo con un disco pieno di cose da dire, criticare, apprezzare e quant’altro. Una gioia per coloro che recensiscono e per i fans che si sono scatenati nel dire/sparare sentenze di ogni genere.
Ma andiamo con ordine.
The 2nd Law (“la seconda legge” riferita alla seconda legge della termodinamica nel quale viene definito lo spreco inevitabile di energia all’interno di un sistema chiuso) si presenta con una tracklist di 12 canzoni perfettamente coniugate tra di loro, con sound opposti ma che si mescolano in un crescendo di sonorità ed emozioni. Matthew Bellamy ha pescato a piene mani un po’ ovunque, dal funk alla Steve Wonder, dalla dubstep di nuova generazione di Skrillex (lo stesso frontman ha dichiarato più volte di aver preso ispirazione dal giovane dj/produttore americano), dalle orchestre sui temi alla Ennio Morricone (come d’altronde anche nell’opera in tre tempi nominata Exogenesis, inserita in The Resistance) e dalle melodie degli U2 (saranno stati così influenti i concerti fatti proprio con Bono e soci?).
State pronti perché di citazioni varie ed eventuali ne troverete a pacchi in questa recensione. Molti mi hanno detto che la musica è inevitabilmente un richiamo ai grandi del passato e che in ogni caso, ogni canzone “è bella a mamma sua”. Discendiamo tutti dai Beatles e Rolling Stone, no?
SUPREMACY. Un inizio con archi, fiati un po’ alla James Bond. (non a caso circola la voce di queste ore che sarà parte della Colonna Sonora dell’ultimo lavoro di 007 – Skyfall, in uscita il prossimo mese) Alterna ritmi lenti e misteriosi delle strofe ad un ritornello potente che con la frase “your time has come to destroy your Supremacy”, ricorda moltissimo i temi affrontati in Black Holes and Revelations (2006) e la distorsione della voce riprende una bellissima e mai dimenticata Muscle Museum. Parliamo degli antipodi della carriera dei 3 di Teignmouth. In sostanza una canzone che, messa come apertura, da subito un bel segnale agli ascoltatori: preparatevi perché ce ne saranno delle belle.
MADNESS. Singolone commerciale da radio. Impossibile non trovarsi a canticchiare il m-m-m-ma-ma madness. Il suono (elettronico) del basso di Chris è ottenuto con un tecnologissimo trackpad luminoso che fa tanta scena dal vivo quanto in audio. Per la prima volta nella sua carriera Matthew si trova a suonare ben poco in questa canzone (solo la parte di assolo di chitarra) e l’impronta elettronica già si assapora in questo brano, dalle parole dolci e sincere per la sua amata (l’attrice Kate Hudson dal quale ha avuto anche un bambino). Il finale è una splendida esplosione della voce di Bellamy che fa chiudere in bellezza un brano che, all’inizio (ma ancora adesso) aveva convinto pochi. Dove sono finiti i Muse distruttivi e rock di Hysteria New Born?
PANIC STATION. Eccoci arrivati al momento “ma che diavolo..”. Basso slap (Flea dei Red Hot Chili Peppers insegna), ritmo funky come in Superstition di Wonder , voce a tratti in falsetto sulla scia Prince e chitarra con suoni wah-wah. Another One Bites The Dust, parte seconda. Immaginatevi le ballerine con vestitini luccianti e mosse sensuali ed eccovi servita Panic Station, il primo pezzo rivelazione dell’album. Al primo ascolto la mascella mi è arrivata alle ginocchia e stentavo a credere alle mie orecchie. Chissà, se fosse stata scritta negli anni ’70, avrebbe potuto essere benissimo un pezzo di punta per le dancefloor di tutto il mondo. Non sarei così sicura di dire che non potrebbe accadere anche ai giorni nostri. Queste novità piacciono ai fans, soprattutto perché l’impronta del loro stile si sente eccome e la fanno diventare uno tra i pezzi più amati, me compresa. (se non quello più amato)
PRELUDE + SURVIVAL. Richiami o meglio, invocazioni classiche di Chopin per l’introduzione al pianoforte e archi che accompagnano il pezzo scritto apposta per le Olimpiadi di Londra 2012 (ma che poi è stata sentita solo alla cerimonia di chiusura suonata dai Muse stessi e non in ogni incontro come era previsto). All’inizio mi era pure piaciuto, ma non troppo. Oggi posso dire che è un brano forzato da chissà quante richieste dall’alto tra case discografiche e quant’altro. Assolutamente preso dai Queen (suoni di chitarra e ritmo compresi), il coro con ritmo da marcia che scandisce, e tema barocco. Credo che Matt non si sia troppo impegnato a fare un pezzo degno di nota.
FOLLOW ME. Il suono campionato del battito del cuore di Bingham Bellamy, figlio di Matthew, annuncia l’arrivo della seconda canzone più bella di tutta il disco. Le parole sono tutte dedicate a lui e arrivano dirette all’anima. Un pezzo che ogni padre potrebbe dedicare al proprio figlio. L’inizio grave e profondo che prendono per mano l’ascoltatore e lo guidano verso quella che sarà l’esplosione del brano. Di nuovo, l’elettronica/dubstep la fa da padrona, soprattutto nel “tappeto” di fondo del ritornello. Poi inizia il ritmo a cavalcata che tanto strizza l’occhiolino alla Knights Of Cydonia di qualche anno fa (sempre inserita nel cd Black, Holes and Revelations). Il finale ricorda moltissimo gli urli strazianti di Jared Leto dei 30 Seconds To Mars e di Bono degli U2. Dal vivo verrà arrangiata in chiave più rock ed è bella forse più della versione studio.
ANIMALS. La canzone che molti puristi dei Muse apprezzeranno. Avrebbe potuto fare un po’ a sportellate per essere inserita in un capolavoro quale Absolution. Anche se, a parer mio, è un brano che sembra caricare moltissime aspettative ma che poi non esplode mai come dovrebbe. O come avrebbe potuto essere in passato. Il ritmo è incalzante, con la tastiera alla New Born e il tema della chitarra libero di esprimersi, una seconda voce che dialoga con il testo che Matthew canta. Il bridge è uno splendido assolo strumentale e con una variazione melodica che fa brillare l’intero pezzo. Il finale richiama quelle jam durissime viste e sentite molte volte nei live (soprattutto dopo Stockholme Syndrome) e in sottofondo si sentono le rabbiose voci di una giornata di negoziazioni a Wall Street.
EXPLORERS. Mi trovo in difficoltà a dover dare un giudizio a questa canzone, per me la più inutile dell’album. Una ballata troppo lenta, troppo lunga e che la fa entrare di prepotenza nella lista “canzoni da skippare”. Se proprio vogliamo dirla tutta, assomiglia moltissimo al film di una classica storia d’amore: l’incontro tra i 2, i primi appuntamenti al lume di candela, il primo bacio con tanto di mondo che gira tutto intorno, la nascita del primo figlio (il “shhh” alla fine ricorda quasi la fine di una ninna nanna). Alcuni l’hanno accostata a Blackout (pezzo ballata di Absolution) ma non mi trovano assolutamente d’accordo. Sono due pezzi diversi e Blackout vale molto di più che questa.
BIG FREEZE. Il seme della discordia. Odiata o amata al primo ascolto, non ci sono vie di mezzo. Citazioni alla U2 in pieno,si può tranquillamente pensare che The Edge sia alla chitarra e che da un momento all’altro Bono potrebbe venire a duettare nel pezzo. Che fare la band di supporto agli U2 nel tour sudamericano nel 2009 abbia giovato a questo pezzo? Il mistero permane. Non mi stupirei di trovare un ringraziamento nei credit. L’elemento che più di stupisce di questo brano (e che me lo fa piacere assai) è l’impronta melodica che viene data, soprattutto nella parte centrale. Quando da allegrotta canzoncina pop, prende il sopravvento quell’onda rock che la travolge come un mare in tempesta e la trascina fino alla fine dove sfocia in un finale alla “”Where The Streets Have No Name”.
SAVE ME. Il primo dei due pezzi cantati, per la prima volta dall’inizio della loro carriera, dal bassista Chris. Racconta della redenzione all’abuso di alcool, del quale Chris soffriva da molti anni. Già dall’inizio, la sua voce è calda e avvolgente, intensa e diretta come pochi. Il crescendo del ritmo assomiglia moltissimo ad una scalata, alla lotta contro sé stessi esattamente come le parole che vengono cantate nel brano. Trovo solo un po’ fuori luogo quei campanellini natalizi (li trovo SEMPRE fuori luogo, anche sotto Natale) ma in compenso è un ottimo pezzo. Non solo Matthew si rivela grande autore di canzoni e da la conferma che i Muse sono un gruppo omogeneo e pieno di risorse da ogni membro che lo compone.
LIQUID STATE. Il secondo brano cantato da Chris. Se Save Me era la “redenzione”, Liquid State ricorda moltissimo i viaggi che ognuno di noi si può fare durante una bella sbronza. Quel senso di potenza assoluta che circonda la mente annebbiata. La voce stessa del bassista è più nervosa, più incisiva. Ricorda moltissimo quella di Dave Grohol. Immaginatevi un video ripreso solamente dalla prospettiva frontale del protagonista, come se reggesse verso di sé la telecamera e aggiungetevi un viaggio furioso annegato nell’alcool. Ottenete Liquid State. Il ritornello assume sonorità a tratti epici (nel senso stretto della parola) e si scarica tutto in poco più di tre minuti.
THE 2ND LAW: UNSUSTAINABLE. La perfetta sintesi degli opposti. Il pezzo che ha fatto gridare allo scandalo. Lanciato come una bomba nel video che presentava l’uscita dell’album, ha scatenato una reazione di panico e dolore per moltissimi fans che ormai si erano rassegnati dicendo che quei tre si erano completamente bevuti il cervello. l’incipit è un ansimante ritmo orchestrale che si trasforma improvvisamente in una canzone COMPLETAMENTE DUBSTEP, dove Skrillex fa i salti di gioia, i mixer e la tecnologia vengono sostituite dalle chitarre crude e quel ritmo pesante tipico di questo nuovo genere. Una voce femminile racconta come in una edizione speciale del telegiornale, la seconda legge della termodinamica. Man mano che si cresce, arrivano i vocalizzi di Bellamy centrano perfettamente il bersaglio facendo brillare questo pezzo e gli archi che si incastrano nel sound elettronico. Solo i Muse potevano avere tanto coraggio da mescolare due opposti della musica.
THE 2ND LAW: ISOLATED SYSTEM. Ultimo pezzo. Un brano alla Hans Zimmer, quasi alieno. Bellamy si rivela un ottimo compositore anche di colonne sonore (vedi The International, dove lo stesso aveva creato una canzone ad hoc per i titoli di coda) Completamente strumentale, con il tema introdotto solo da alcune note al pianoforte ma che diventeranno un moto perpetuo nell’intera esecuzione. Inizia il battito fuorioso del tamburo, assomiglia molto all’ansia del cuore umano che arriva. La stessa annunciatrice della canzone precedente, ripete meccanicamente la seconda legge della termodianmica. La musica viene “sporcata” solo dalle voci rotte estratte dai notiziari. Il climax ascendente porta alla scoperta delle sperimentazioni che tanto piacciono a Matthew e soci (l’avevano già fatto nella Exogenesis in The Resistance, opera classica divisa in tre parti) fino ad arrivare ad un coro di voci femminili che portano alla finale quasi paradisiaco dell’album. Una chiusura degna di questo album.
In sostanza, i Muse hanno saputo prendere le idee più disparate, metterle insieme, giocarci e creare un album completamente diverso dai precedenti. Molti non sono d’accordo ma immaginate 20 anni di carriera sempre con le stesse canzoni, sempre con le stesse cose. Anche ai più fedeli la cosa avrebbe preso una piega troppo monotona. Loro invece hanno voluto tenersi al passo con i tempi, fare della musica uno strumento alternativo di gioco e di divertimento. Provare nuovi suoni, nuovi strumenti. Aspettando i concerti dal vivo, nei quali hanno sempre potuto dare il meglio di sé stessi e nel quale hanno la capacità di stravolgere le canzoni create in studio: annunciano una piramide capovolta, schermi a led giganti e tanto spettacolo.
The 2nd Law prenderà vita una seconda volta anche sui palchi del tutto il mondo.
Muse – The 2nd Law (Warner) 2012
8/10
Martina Zorat
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Cosa succede ad una band quando diventa popolare a livello planetario? Due ipotesi mi vengono in mente così, su due piedi: o mantengono un certo livello di qualità ed ogni prodotto è sacro (vedi i Radiohead) oppure incorrono, chi più chi meno, nello screditamento: questo è il caso dei Muse, giunti al sesto album della loro carriera privi di alcuna ispirazione, ma anzi costretti a imitare sé stessi e altri grandi della storia, quali i Queen, gli U2.
Non perdono tempo i tre di Teignmouth: l’attacco con “Supremacy” è pacchiano (come del resto ci si aspetta da loro) con la sua rock opera trash, già parodia di sé stessi, ma tutto sommato rasenta la decenza.
“Madness” è già in heavy rotation da settimane ed è quel compromesso tra orecchiabilità e synth pop che i Muse avevano già messo in mostra con “Undisclosed Desires”.
“Panic Station”, senza di dubbio il prossimo super singolo di successo della band, è un bell’azzardo funk-pop che centra in pieno il bersaglio e nel contesto in cui si inseriscono i Muse attualmente è quanto di meglio possano fare, con tanto di trombe a chiudere il quadro (anche se all’inizio non si può far a meno di pensare a “Another One Bites The Dust”).
Del resto dell’album ben poco si salva: apprezziamo lo sforzo svolto da Rodrigo D’Erasmo per il violino di “Prelude”, ma ciò che ne segue è a dir poco osceno: sempre più determinati a copiare spudoratamente i Queen, i Muse hanno scritto una canzone per le Olimpiadi che, non solo non ha avuto il successo sperato, ma costituisce anche uno strambo connubio tra ciò per cui i Muse erano famosi un tempo e ciò per cui lo sono ora.
Il problema di “Follow Me” poi non è certo il battito del cuore del figlio di Bellamy all’inizio, ma la soluzione post-rock e dubstep adottata dalla band che per noi italiani ricorda molto da vicino quanto gli Aucan hanno messo insieme per il loro splendido Black Rainbow, con però tutt’altri risultati. La prossima volta se registrano di nuovo nello studio di Como potrebbero anche dare un colpo di telefono al trio bresciano.
Chi avesse nostalgia dei Muse di una volta può consolarsi con “Animals”, unico pezzo di tutto il disco ad avere un suo perché, andando a ripescare quel che sono stati un tempo.
E poi c’è il nulla, il vuoto più totale.
Tre ballate in un crescendo di noia e banalità e le due strumentali finali che non hanno nulla a che vedere con le tre “Exogenesis” di The Resistance, ma forse neanche con la decenza.
A nulla serve neanche il concept politico, che suona più populista che popolare, né tanto meno la scelta di far cantare alcuni pezzi al bassista.
La parabola discendente dei Muse, iniziata con Absolution, manifestatasi con Black Holes and Revelations ed esplosa con The Resistance, trova qui in The 2nd Law il suo punto più basso.
Con ogni probabilità, un punto di non ritorno.
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http://www.melodicamente.com/muse-the-2nd-law-recensione/
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http://www.spaziorock.it/recensione.php?id=10000868
A parte una recensione totalmente negativa, i voti vanno dal 6,5 all’8 ,quindi niente male affatto!
Buona musica a tutti.
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