Il sito ufficiale del songwriter americano ha annunciato la pubblicazione del prossimo album, SongReader, prevista per il dicembre 2012: ma le venti canzoni che lo compongono usciranno con lo spartito come unico supporto. Ma che cosa sarebbe oggi Beck senza la sua collezione di dischi?
Strategie di sopravvivenza alla discografia, ennesima puntata. Nella gara per aggirare l’ostacolo di un formato dato per moribondo da molti, Beck Hansen guadagna posizioni con la sua ultima trovata: da qualche giorno infatti il sito ufficiale del cantante americano ha annunciato la prossima pubblicazione del nuovo album, SongReader, prevista per il dicembre 2012. La prima raccolta di inediti dai tempi di Modern Guilt, 2008, presenta però una peculiarità: le venti canzoni che la compongono verranno rilasciate solo in forma di spartito. Niente vinile, cd e tantomeno mp3. L’unico “supporto fisico” sarà la carta su cui lavoravano i compositori classici e i canzonettisti di Tin Pan Alley.
Il dibattito sul web ha già preso il via e le piste più seguite per ora sono a) una radicale alternativa all’uscita su disco o, come si legge sul comunicato ufficiale, “un esperimento su quel che può essere un album alla fine del 2012” b) un bluff a mo’ di copertina di lusso, già che (sempre dal sito ufficiale) si parla di un booklet “visivamente coinvolgente come dozzine di rivestimenti per LP messi insieme”. I contributi all’artwork firmati da visual artists come Marcel Dzama, Leanne Shapton, Josh Cochran, Jessica Hische, ognuno al lavoro su uno spartito specifico. Oppure ancora c) il gesto che inaugura tutta un’operazione di musica “componibile”, che si tradurrebbe effettivamente nella prima uscita in tutto e per tutto user generated, rivolta a quanti fra i fan conoscessero la teoria musicale e volessero cimentarsi nel suonare le proprie versioni dei pezzi – che, a questo punto, non sarebbero semplici cover, ma ognuna un brano “inedito” e “originale” a se stante. Tipi un po’ fissatelli come questo che vedete qui ci stanno già provando con il primo (…ehm) “singolo” reso noto, Do We? We Do.
Che sia un altro tentacolo di una produzione costantemente attenta a evitare le strade più battute o una mera mossa di marketing, resta senz’altro un’idea che fa parlare, soprattutto se accostata al personaggio in questione. Si tratta dello stesso Beck che in compagnia di amici illustri fondò il Record Club dove a scadenze irregolari ci si riuniva per suonare da cima a fondo un disco della propria collezione, fosse il primo dei Velvet Underground o la perla nascosta del freak folk di Alexander ‘Skip’ Spence in un profondo atto d’amore e devozione verso la cultura del Long Playing – salvo poi lasciarne le tracce soltanto attraverso video caricati in rete. Lo stesso che dalla metà degli anni ’90 ha fatto scalpore (e un po’ di Storia) grazie ai pastiche citazionisti di Midnite Vultures e Odelay, mostrando ai puristi del cantautorato che scrivere canzoni si poteva anche ascoltando i beastie Boys di Paul’s Boutique o rubacchiando da musiche altre (e di altri): quasi un Bob Dylan che torna sul luogo del delitto di Newport, armato di mixer e campionatori anziché del solo amplificatore.
Ora, provate a immaginare che ne sarebbe stato della chitarra slightly di Loser, o dell’incastro di riff scippati agli Them di Devil’s Haircut se, invece di essere copiati e incollati direttamente dalla matrice, fossero stati scritti come una manciata di note su spartito? Con gli anni ci ha abituato anche un lato della sua musica più sobrio e meno feticista della citazione, vero, ma riesce ancora difficile riuscire a pensare a cosa mai avrebbe potuto combinare nella vita Beck senza disco. O peggio, senza dischi.
myword.it
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