ECCO LA RECENSIONE DEL DISCO DI QUESTI RAGAZZI DA PARTE DI MYWORD.IT
IL DISCO MERITA VERAMENTE E LORO SONO GIA’ DESTINATI ALL’ELITE DEL MONDO DELLA MUSICA.
Sul debutto dei Citizens! ci sarebbero molte cose da dire.
Sui primi due singoli, intanto, True Romance e Reptile, che sono piaciuti talmente tanto ad Alex Kapranos – voce e chitarra dei Franz Ferdinand – da spingerlo ad insistere per produrre l’album per intero, Here We Are, uscito lo scorso 28 maggio sotto l’etichetta francese Kitsuné (già produttrice di Two Door Cinema Club e Is Tropical). O ancora sul cantante Tom Burke, la cui voce sfiora l’androgino finendo per rendere (ahimé) intriganti testi comunque molto semplici. Oppure sull’estetica dei cinque londinesi – Burke, appunto, e Thom Roades (chitarra); Martyn Richmond (basso); Lawrence Diamond (tastiere; chitarra); Mike Evans (batteria) – che è poi l’estetica che ti aspetti da un gruppo inglese che fa indie pop/prodotto da Kapranos: dai concept dei video (francamente imperdibile quello di True Romance, il cui leitmotiv potrebbe essere “da Star Trek a Bollywood”) fino ai vari mocassini, baffi e ciuffi.
Il suono dei Franz si sente, ma è decisamente meno guitar-oriented e più indirizzato verso le sonorità disco-synth à la Hot Chip. Quasi impossibile – per i cultori del genere – non apprezzare brani come Let’s Go All The Way, Monster o (I’m In Love With Your) Girlfriend, dove si spazia dal funk all’electro vibe in chiave Bowie. O ancora l’ipnotica She Said e l’ultimo singolo Caroline – uscito il 2 luglio – che racconta con elegante distacco di un’amicizia perduta. Ma il meglio lo riservano gli ultimi due brani, I wouldn’t want to e Know Yourself, prove di maturità per una band che ha fatto del non prendersi sul serio il proprio – serissimo – codice d’onore. Altrimenti, non avrebbero definito il loro sound come “gli Arcade Fire prodotti da Kanye West”. Vabbé.
Quel che è certo è che i Citizens! si rivelano freschi (quasi ristoratori) da ascoltare, pur sempre nell’incognita – tremendissima – che potremmo avere presto l’inevitabile, deludente secondo disco. Lo sappiamo, questo sembra essere il destino delle moltitudini di band made in UK che ogni anno entusiasmano, e poi deludono, il loro – very permaloso – pubblico, ma i pronostici, beh, lasciano il tempo che trovano, almeno quanto le mode hipster. Eppure, questi cinque londinesi sono anche particolarmente adatti all’estate, e, se fosse concesso parlare di tormentone laddove si è alla continua, disperata ricerca della next big thing, loro potrebbero diventarlo senza sforzo. Certo, sempre se la gente considerasse il pop qualcosa di serio – Pop non è una parola sporca, anzi è santa, hanno dichiarato quasi all’unisono – e questo è bene specificarlo. (myword)
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