Ricordate Joe Jackson? Negli anni 80 era una star e riempiva i palazzetti dello sport, quando il clima era molto diverso e c’era spazio per una musica brillante, raffinata, di buone maniere. Poi si è perso, poi i tempi l’hanno mangiato e da un po’ vivacchia ai margini della scena.
In The Duke (Ear Music, in uscita il 26 giugno) cerca la rivincita o almeno un bel rientro, mettendosi al riparo di quella grande quercia che fu Duke Ellington, il re del jazz orchestrale nei suoi anni d’oro. JJ gli riprende quindici temi, i più famosi, e con disinvoltura li porta nel suo mondo. Un pop jazz elegante e fantasioso, che ogni tanto si colora di world music o subisce la tentazione del rock: Perdido si stende sulla spiaggia di Bahia, Caravan fiorisce sulle labbra di una cantante iraniana, It Don’t Mean A Thing rotola sulla lingua addirittura di Iggy Pop.
Ci sono anche Steve Vai, i Roots, la violinista Regina Carter, i vecchi compari Sue Hadjopoulos e Vinnie Zummo, per un album imperfetto ma divertente, e non così irriverente. Joe immagina già le obiezioni dei puristi e ha la risposta pronta: «Ellington non considerava sacri e intoccabili i suoi arrangiamenti. Li rielaborava in continuazione, qualche volta proprio li stravolgeva. E allora penso che il mio approccio sia semplicemente nello spirito del Duca».
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