Nel 1999, quando Supernatural arrivò sugli scaffali di dischi diventando l’ultimo grande best-seller prima dell’avvento del download selvaggio, Carlos Santana era semplicemente una leggenda per tutti quelli che avevano vissuto l’epoca d’ora del rock, ma che non trovava una hit da classifica da almeno vent’anni. Quell’album fece tornare la musica del chitarrista negli hi-fi degli adolescenti, che comprarono in massa anche i capitoli successivi della saga, sempre imperniati sul binomio artista-di-grido più melodia-orecchiabile-ma-alla-lunga-stucchevole.
Nel corso di questi quindici anni, però, il buon Carlos è riuscito a collezionare anche una lunga serie di brani strumentali, abilmente messi in un cassetto in attesa che il suo pubblico, quello che lo amava alla fine degli anni Sessanta, esigesse qualcosa di un po’ meno ruffiano di Smooth. Shape Shifter non è altro che questo: un album totalmente strumentale come quelli che ne decretarono il mito dall’esibizione di Woodstock alla metà degli anni Settanta. Dedicato ai pellerossa, ai nativi americani, ma anche all’eroe popolare e avventuriero David Crockett, il disco attraversa più generi, dal rock tipicamente Seventies alla world music, sempre con estrema classe e con quel suono riconoscibile al primo accordo. Non venderà come Supernatural, ma che bello tornare a sentire Santana fare il chitarrista.
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