I Fray si ritrovano come marinai persi in mezzo al mare, con la certezza di essere così lontani da casa da arrivare da qualche parte, ma con la sensazione di non sapere esattamente dove il viaggio li porterà
A dieci anni dalla loro formazione i Fray si ritrovano come marinai persi in mezzo al mare, con la certezza di essere così lontani da casa da arrivare da qualche parte, ma con la sensazione di non sapere esattamente dove il viaggio li porterà; questo è per lo meno quanto emerge dalle interviste rilasciate dai ragazzi di Denver all’indomani dell’uscita del loro terzo album in studio. Scars and Stories è la testimonianza del tempo che passa lasciando cicatrici sulla pelle che, come indelebili tatuaggi, testimoniano quello che è stato, o come rughe che raccontano di come dei ragazzi diventino degli uomini. Dodici canzoni nate in viaggio, tra idee e immagini di posti diversi e lontani, scelte per rappresentare un passo avanti nella formazione di questi musicisti. Lontani ormai dalla solarità della loro super hit How to Save a Life che ci ha accompagnato per gran parte del 2005 come un vero e proprio tormentone, i Fray rincorrono ora una nuova ricerca musicale, cercando di trasmettere in questo disco le tensioni, i conflitti e il caos derivati dall’essere passati dal suonare alla periferia di Denver a girare il mondo e riempire le arene. Quello che ne risulta è un disco più cupo, malinconico e ricercato che lascia sempre trasparire però la cristallina attitudine pop della band.
Come negli album precedenti il tratto distintivo restano le melodie vocali, unite a una trascinante batteria sempre in primo piano, e al pianoforte capace di dare coloriture emotive soprattutto nelle ballate più scarne, tratto ormai distintivo dello stile Fray (I can Bareley Say).
Dentro Scars and Stories c’è il catchy pop dei primi Fray (Run for Your Life), c’è il rock di ispirazione Zeppeliniana (per lo meno a quanto detto dalla band, ma difficile a reperirsi senza un po’ di fantasia), ma c’è anche Springsteen senza dubbio, soprattutto nel singolo Heartbeat. Nata tra Sud Africa e Ruanda, Heartbeat è ispirata alla terribile povertà che regna in questi paesi che però non impedisce alla persone di sorridere e di continuare a vivere, questo a livello di tematiche, ma stilisticamente come nume tutelare non ci sono dubbi sul Boss, e infatti non stupisce che dietro questo album ci sia la mano di Brendan O’Brien, produttore che ha lavorato tra gli altri con Neil Young e Springsteen per l’appunto, e che ha sicuramente aiutato la band a trovare la strada per arrivare a questo disco sotto il cielo di Nashville.
Certo non possiamo parlare di un disco concettuale o impegnato, e certo, il lato rock citato sembra essere molto nascosto, quasi introvabile; ma basta che, mentre riponete i dischi nella vostra libreria, lo classifichiate al giusto genere, ossia “pop”, per avere tra le mani un buon album che potrebbe farvi compagnia in più di un’occasione. Se invece cercate un disco rock, bhè…. sapete sempre dove trovare i Led Zeppelin!
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