Le chitarre che hanno reso famosi 200 grandi del rock selezionate da Michael Heatley
Quanto un manico affusolato influenza il tocco di un chitarrista? Che qualità bisogna possedere per far suonare bene un “pezzo di cartone” da 100 euro? Nel libro Stars & Guitars (ed De Agostini), Michael Heatley passa in rassegna quarantotto Guitar Heroes (e quattordici bassisti) e gli strumenti che ne hanno contrassegnato il successo: dallo tzigano Django Reinhardt fino al retrò postmoderno Jack White, passando per B.B. king, i Beatles e Steve Vai. L’autore analizza il magico rapporto che si crea fra uomo e strumento, la sua genesi e i suoi meravigliosi risultati.
Per quasi tutti i chitarristi, il raggiungimento del proprio suono ideale è una chimera. Collaborazioni con famosi liutai e sperimentazioni sonore che durano anni, spesso non portano alla completa soddisfazione. Altre volte, basta una plettrata ad una chitarra da pochi dollari per far scaturire un colpo di fulmine che durerà una vita. C’è addirittura chi il proprio strumento se l’è costruito da solo, partendo da pezzi di legno avanzati e manubri di bicicletta. Brian May, nella prefazione, ci introduce nella rock’n’roll hall of fame con un concetto fondamentale: la ricerca della propria voce è un viaggio che consente al ragazzino dentro di noi di continuare a emozionarsi e sognare.
Sicuramente Billie Joe Armstrong (Green Day) si è emozionato quando ha abbracciato per la prima volta la sua Gibson Junior, semplicissima nel suono e facile da suonare, chitarra divenuta il suo marchio di fabbrica a partire da Warning. Anche Johnny Ramone scelse la sua Mosrite per questioni di feeling e, soprattutto, per semplificare il compito alle proprie dita non troppo abili. Come lui stesso affermò “era fatta di ottimo cartone”, leggera e facile da suonare. Non esita nemmeno Jack White a definire la propria National Airlines “vuota, di plastica, sembra dover cadere a pezzi da un momento all’altro. Il pick-up anteriore è rotto ma quello per gli alti ha un tiro incredibile”. Sono colpi di fulmine, amori a prima vista che vanno ben al di là del valore economico dello strumento.
Alcuni matrimoni sono fugaci o addirittura casuali, altri spettacolari e sempiterni. John Deacon scelse il MusicMan Stingray nel 1980 e non lo abbandonò fino al suo ritiro dal mondo della musica nel 1991, dopo la scomparsa di Freddie. Fu proprio con quel basso che registrò uno dei più grandi successi dei Queen Another one bites the dust. Anche Kirk Hammet dei Metallica scelse la sua ESP in un momento preciso: nel 1986, poco dopo l’incisione di Master of Puppet. In pochi anni divenne la sua indivisibile compagna nonché chitarra prediletta da una folta schiera di musicisti heavy metal. John Lennon si accontentò, per così dire, della storica Epiphone Casino, ovvero la sorella minore della ben più costosa Gibson. La Casino, che tra l’altro possedevano anche Paul e George, rimase con lui ben oltre lo scioglimento del quartetto inglese. Altro matrimonio duraturo fu quello di Clapton con la sua amata Blackie (stratocaster nera assemblata da Eric in persona) che durò senza sosta dal ’73 al ’85, per poi essere venduta ad un asta di beneficenza nel 2004 al prezzo più alto nella storia delle solid body: 959.500 dollari. L’unione più commovente è senza dubbio quella di Bruce Springsteen con la Telecaster, che avvenne nei primi anni settanta quando The Boss “si affermò come artista emergente e alla sua immagine di eroe della classe operaia serviva una chitarra che fosse umile quanto lui”. Non solo scelse la più essenziale delle Fender, la ricercò pure con l’asterisco davanti al numero seriale, simbolo che stava ad indicare che era uno scarto di fabbrica. Uno scarto che ha avuto una carriera decennale dando dalla luce successi come Born To Run e The River. Anche la storia della Red Special di Brian May ha qualcosa di magico. Essa fu costruita notte dopo notte, con suo papà, utilizzando come manico il cornicione di un vecchio caminetto in mogano e altre componenti economiche come i pick-up, che furono acquistati in negozio per sole tre ghinee. Nonostante la natura empirica e sperimentale dello strumento, esso cantava esattamente come Brian voleva e oggi, dopo quaranta anni di onorata carriera, è ancora la sua fedele compagna di tutti i concerti. Come nella vita reale, tuttavia, i matrimoni multipli e i divorzi non sono affatto rari. Matt Bellamy, dei celebratissimi Muse, ha cambiato diverse chitarre: dalla Peavey degli esordi è giunto alle originali e tecnologiche Manson, passando per le avanguardistiche Parker. Uno dei motivi più validi che portano Matt a cambiare chitarre è perchè…le rompe! Anche a Flea dei Red Hot Chili Peppers piace maltrattare lo strumento al punto che la Modulus ha pensato per lui un manico interamente in fibra di carbonio impregnata di resina epossidica, praticamente indistruttibile. Keith Richards invece suona principalmente tre telecaster piuttosto simili fra loro, anche se la sua amante prediletta rimane la storica Micawber, Telecaster del ‘53 il cui nome impronunciabile è tratto da un personaggio di Dickens.
Heatley, inoltre, ci regala una serie di episodi incredibili legati alla storia della sei corde, ad incominciare dalla creazione del suono della Les Paul di Peter Green (che prese il posto di Clapton nei Bluesbreakers di John Mayall nel 1966): smontò i pick-up della sua Standard del ’59 dopo di che, del tutto casualmente, li rimontò al contrario, creando il cosiddetto suono “fuori fase”. Esso piacque cosi tantò a Peter che decise di non correggere l’errore. Oppure ci svela che Paul McCartney scelse fin dagli esordi il piccolo ed economico Hofner 500/1 perché era l’unico strumento per destrimani che poteva essere suonato da un mancino “senza sembrare uno stupido”, inoltre la sua leggerezza lo stimolava a “suonare riff più melodici, quasi da chitarra”.
Attraverso queste storie il volume scorre piacevolmente e, sebbene sia stato pensato principalmente per chitarristi, può interessare qualunque amante del rock. Vengono infatti utilizzati frequentemente termini tecnici come radius, attacca corde, leve tremolo e Bigsby, frets, ebano, palissandro, ma saggiamente l’autore ha deciso di corredare l’opera con un breve ma utile glossario alla fine del libro. Gli unici difetti di questa edizione sono la misurazione dei coni in centimetri (se in un negozio di strumenti chiedete una cassa con “4 coni da 30 cm”, il commesso vi guarderebbe quanto meno stranito, visto che siamo abituati da sempre a misurarli in pollici) e la grande assenza di una sezione dedicata alla Ibanez, vera e propria rivelazione degli anni ’90 ormai utilizzata da tantissimi chitarristi come il celeberrimo Joe Satriani che, purtroppo, non è stato valutato da Heatley all’altezza del suo volume così come Angus Young, anche se la sua inseparabile diavoletto (Gibson SG) è stata citata a fianco dell’intoccabile Frank Zappa. Tuttavia è inutile disputare su chi o cosa manca, non ne verremmo a capo e comunque, noi rockettari, siamo soliti non portare rancore.
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