La musica rock è composta da due elementi: la tradizione e le mode. Il primo elemento rappresenta la continuità nel tempo costituendone l’aspetto più nobile. Il secondo, al contrario, denota l’esplosione di fatui fenomeni musicali destinati a scomparire nel giro di una stagione. Questo – fortunatamente – non è il caso dei britannici Saxon. Uno dei gruppi leader dell’heavy metal mondiale e colonna del rock anglosassone.
Quando si dice continuità… Il gruppo è attivo dal lontano 1977 e “Call to Arms” apre il diciannovesimo capitolo della loro vicenda storica. Prodotto in Inghilterra dal leader Biff Byford, “Call to Arms” è un disco di grande rock senza tempo. Oramai il quintetto britannico ha scoperto l’elisir di lunga vita. Ogni album è un marchingegno che funziona di luce propria. Non devono sforzarsi di essere grandi, lo sono in modo del tutto naturale.
Dicevamo di “Call to Arms”. L’album è composto da undici brani che assumono il ruolo di “summa teologica” dell’hard rock contemporaneo. Non c’è un brano simile. Ogni brano ha una sua precisa identità. E’ originato da un contesto definito. “Hammer of the Gods” è il tipico brano antemico alla Saxon. Ha un impatto live davvero rilevante. “Back in ‘79” si sviluppa su un coro fornita da parecchie decine di fan chiamati mediante contest per registrarlo. Oppure “Mists of Avalon” con il suo incedere lento ed epico. Quindi… Che vi devo dire tutto? Se no quando l’ascoltate. Due sole annotazioni veloci. L’undicesimo brano del nuovo album dei Saxon è la versione orchestrale di “Call to Arms”. In “When Doomsday Comes” si nota la presenza preziosa di Don Airey, già tastierista di Deep Purple/Elo/Ozzy Osbourne/Rainbow.
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