Un gruppo di ragazzi cresciuti con Bob Dylan, Neil Young, Peter, Paul and Mary e l’immancabile Hank Williams, le prime prove a casa dopo scuola, poi un demo, il nome che inizia a circolare nella zona di Seattle, e un contratto con una locale etichetta discografica: questa è a grandi linee la storia dei Fleet Foxes. Il fulcro della band è nato quando ancora Robin Pecknold e Skyler Skjelset andavano alle superiori, a loro poi si sono uniti Casey Wescott, Christian Wargo, ed infine Josh Tillman fino ad arrivare alla line-up attuale.
Come ben testimonia l’EP Fleet Foxes (Sub Pop 2006), prodotto da Phil Ek, i primi passi di Pecknold e soci muovono dall’indie rock di brani come In The Hot, Hot Rays, solare e un po’ retrò, e dal sapore assolutamente pop di canzoni come Anyone who’s anyone e TextbookLove, verso le atmosfere più folkeggianti e bucoliche di Icicle Tusk, che preannuncia già i tratti fondamentali del futuro stile del gruppo, con chitarre acustiche che sostituiscono le elettriche e le voci che si fanno rarefatte e lontane.
Per arrivare però alla consacrazione di pubblico e critica servono altri due anni e un nuovo EP, Sun Giant (Sub Pop 2008), che vede ancora Phil Ek come produttore, ha un sound ormai perso in una parentesi atemporale, le cui perfette armonie vocali ricordano un po’ Crosby Stills & Nash.
C’è Sun Giant, brano d’apertura, coraggiosamente a cappella, a parte una breve coda finale, che non fa mai rimpiangere, grazie a un buon uso dell’eco, l’accompagnamento strumentale; poi ancora Drops In The River, con la sua dolce semplicità corale e Myconos, scelta anche come singolo, ha la forza di un classico, proprio per il suo essere “fuori moda”.
Ma per l’album, quello vero, bisogna aspettare ancora qualche mese, giusto il tempo che Sun Giant prepari la strada al grande debutto di Fleet Foxes (Sub Pop 2008). Un lavoro di stampo squisitamente (indie)folk, bucolico e limpido, il cui perno portante è sempre e comunque la voce: suono lontano, o maestosa nel suo incedere corale, è la vera protagonista di un album che non delude le premesse dei due EP precedenti.
Scorrendo velocemente le tracce dell’album ecco White Winter Hymnal, singolo che è diventato un vero e proprio tormentone grazie alla sua genuina solarità; ci sono Ragged Wood e Your Protector, in cui ritroviamo gli ammiccamenti pop del primo EP con un tocco alla Coldpaly; ci sono Tiger Mountain Peasant Son e Meadowlarks, come da vera tradizione folk, solo chitarra e voce; poi ecco l’incedere barocco di Heard Them Stearring che si mescola con la calma di Quite house, in cui la voce sembra pian piano farsi suono e fondersi con gli altri strumenti. Insomma un album basato su solide melodie, ineccepibile e mai scontato che è valso ai Fleet Foxes la fama internazionale. Che si siano montati la testa? Ascoltando Helplessness Blues, primo singolo estratto dall’omonimo album, in uscita il prossimo 3 maggio, non sembrerebbe, ma come si suol dire che viverà vedrà (o meglio ascolterà!)
Related Articles
No user responded in this post
Leave A Reply