Conoscevo e apprezzavo i Lift to Experience, la band in cui Josh T. Pearson militava. Li scoprii per caso su uno di quei cd che arrivano assieme alle riviste musicali inglesi, credo fosse The Word, ma non ne sono sicuro. Loro si sciolsero, non fecero altro e persi di vista il signor Pearson e la sua musica. Qualche giorno fa, diciamo un paio di settimane, esco dal giornale e prendo con me, da sentire in macchina, il disco di Iron & Wine e quello di Josh T. Pearson. Il primo perché è uno dei miei dischi preferiti di quest’anno, il secondo per il titolo, “Last of the country gentlemenâ€, che trovo fantastico e curioso. In macchina, però, ho altro da fare, e il disco resta li, senza che io trovi il tempo di ascoltarlo. Fino a venerdì mattina, quando entro in macchina per andare al lavoro e mi ricapita tra le mani. Lo metto nel lettore e ho una straordinaria illuminazione.
“Last of country gentlemen†è un disco fantastico. Solo chitarra e voce, canzoni di pochi accordi, molto simili l’una all’altra, e molte dalla durata infinita, dieci, dodici minuti, canzoni che entrano dritte nell’anima e ci restano. Un universo di riferimento che può contare su nomi come Jeff Buckley o Nick Drake, o ancora di più Townes Van Zandt, ma che non deve più di tanto né all’uno né agli altri. E un intensità , una forza espressiva, una ricchezza emotiva, che non mi capitava di trovare da parecchio tempo in un disco. Disco che, nelle sette canzoni di cui è composto, è doloroso e straziante, ma al tempo stesso affascinante e “positivo†proprio perché costruito solo sulla forza della musica.
Niente trucchi, niente post-produzione, al massimo un uso estensivo del riverbero, e la presenza di Warren Ellis al violino (direttamente dai Bad Seeds) per rendere i brani ancora più intensi, struggenti, commoventi, personali e bellissimi. Niente ritmo, null’altro che uno “stream of counsciousness†nel quale Pearson, uscito da dieci anni di sostanziale isolamento, da sfogo a tutti i suoi sogni, fantasmi, passioni, dolori, attraverso canzoni che sono sottili, fragilissime, sempre sul punto di spezzarsi, di rompersi, di perdersi. Canzoni che sono figlie di uno straordinario equilibrio tra malinconia e vita, che Pearson interpreta in maniera personalissima e vera.
Sono tre giorni che ascolto questo disco e consiglio a tutti di provare. Non è un disco diretto e immediato, non è nemmeno detto che vi debba piacere per forza. Ma merita sicuramente l’ascolto, con il cuore aperto e la mente libera, per lasciarsi portare lontano da una voce solitaria e dalla sua chitarra, verso quelle correnti del cuore che hanno il potere di cambiare la vita.
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