THE KING OF LIMBS
Radiohead
Autoprodotto
FIRST LISTEN
Ricapitoliamo.
I Radiohead hanno spiazzato tutti un’altra volta. Come già quattro anni fa con In Rainbows, anche per questo nuovo The King Of Limbs l’annuncio dell’uscita è stato dato dal gruppo con pochi giorni di anticipo rispetto alla release effettiva del disco, anticipata per giunta di 24 ore con grande gioia di tutti i fans in agguato. La strategia promozionale è rimasta invariata, o quasi: non più download ad offerta libera per un album in formato mp3 a 160kbps ma 7 € per il download a 320kbps o 11 € per i relativi file in formato wav – una cifra comunque economica rispetto a un album comprato su un comune digital store. E poi certo, l’edizione ‘fisica’: doppio vinile + cd in un misterioso formato newspaper del quale poco è trapelato ma di cui tutti sapremo a partire dal prossimo 9 maggio, quando i pre-order del disco verranno distribuiti; oltre alla possibilità di acquistare lo stesso album nei formati tradizionali, pubblicati da XL a partire dal 29 marzo. Mentre raccogliamo le idee per una recensione vera e propria, decidiamo di non sottrarci al massiccio tam tam di commenti e giudizi che sta investendo il web: ecco qui di seguito le prime impressioni ‘a caldo’, track by track.
Bloom
E’ bello guardare la tracklist e non trovare quasi nessuno dei pezzi presentati dal vivo nei mesi scorsi, un po’ debolucci; ed è bello essere accolti invece così, da un assalto di beat e drumming fuori tempo che riporta subito in direzione Amnesiac. Bloom ricorda i Liars e anche le cose un po’ più scomposte di Flying Lotus. Un avvio incoraggiante.
Morning Mr Magpie
Si tratta di una canzone che girava sul web dai tempi di Hail To The Thief: in particolare l’avevamo ascoltata, in una prima versione voce e chitarra con un piccola coda dronata lungo il finale, all’interno di The Most Gigantic Lying Mouth Of All Time, dvd che raccoglieva tutti i video ospitati su radiohead.tv e altro materiale. Qui finalmente il gruppo è riuscito ad arrangiarla in una maniera convincente, per quanto l’insieme viva un po’ all’ombra della traccia precedente a livello di suoni. Rimane forte la sensazione di un disco simile al periodo Kid A / Amnesiac, anche se la voce di Thom Yorke suona particolarmente più alta rispetto alle registrazioni di quel periodo. Come se il gruppo, nonostante tutto, ambisse a un disco ‘pop’.
Little By Little
Per fortuna non si tratta di una cover degli Oasis. Torna invece in mente il Four Tet più folktronico, e ancora le ritmiche di tamburello degli stessi Radiohead in I Might Be Wrong; ma è anche un brano che incontrerà i favori di chi ha amato episodi come Reckoner nel disco precedente.
Feral
Inizia ad avvertirsi una certa omogeneità di suono, meglio: di ritmiche. Forse anche di produzione. Il gruppo magari avrebbe in mente qualcosa di fresco e sintonizzato con l’elettronica migliore in giro (fa nettamente capolino il riferimento al mondo dubstep e a Burial, vero e proprio pupillo per Yorke) ma il paragone che rimane più appropriato sembra ancora quello di Amnesiac, e nel caso specifico Pulk/Pull Revolving Doors.
Lotus Flower
Arriviamo così al singolo, che spezza un minimo la carica ansiogena dei brani precedenti e riconduce verso la forma canzone più diretta di In Rainbows. Il Thom più cantabile del disco fino qui, la canzone per cuori teneri che tutti (e soprattutto tutte) canteranno a squarciagola nel prossimo tour. Che canteremo, ok.
Codex
E allora, se Amnesiac dev’essere, ecco la Pyramid Song di turno. Perde il confronto, Codex, ma in maniera più o meno netta sfilano tanti numi tutelari di Thom Yorke: su tutti Brian Eno, Scott Walker e i Talk Talk di Spirit Of Eden. Un brano da riascoltare ma da non sottovalutare solo per la sua mancanza di incisività .
Give Up The Ghost
Spiccava già come la migliore tra le nuove canzoni presentate dal vivo: e per fortuna è una delle due che il gruppo ha tenuto. Dai tunnel bui dell’elettronica c’è un’uscita, come da un inferno dantesco. Give Up The Ghost è un titolo che sa di liberazione, di pace ritrovata. Tutto, a partire dai cinguettii che avvertiamo nella canzone, sembra suggerirlo. Looparsi la voce non è certo la scoperta dell’ultimo minuto, ma ‘come’ lo si fa è ciò che in questo brano fa la differenza. Miglior momento del disco per chi scrive.
Separator
La chiusura è per Separator, di nuovo drumming e beat elettronici, la voce di Thom che sguazza libera nel mezzo, chitarrine Tim Buckley, ancora il fantasma di Eno. Un pezzo arioso, quasi epico. Gli U2 lo prenderebbero facilmente in simpatia.
Il giudizio qui e ora dice di una svolta non così spiazzante come lo fu Kid A dopo Ok Computer, ma pure uno scarto di riguardo rispetto agli ultimi dischi del gruppo. A tra pochi giorni per la recensione vera e propria e il verdetto finale.
(7.0/10)
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