OLTRE AD Â ANDREA GUERRA Â DI SANTARCANGELO DI ROMAGNA, CHE MOLTI CONOSCERANNO PER ESSERE L’AUTORE DI BRANI DA SOUNDTRACK PIUTTOSTO FAMOSI (FILMS DI OZPTEK E BRANI DI GIORGIA E CREDO TIROMANCINO), ECCO ROBERTO CORTINI ,UNO CHE SI E’ FATTO LE OSSA IN GIRO PER IL MONDO ,SOPRATTUTTO COI NIN E TRENT REZNOR.
ONDAROCK.IT LO HA INTERVISTATO:
Intervista al romagnolo Alessandro Cortini, dietro le tastiere dei Nine Inch Nails per quattro anni e ora alle prese con il suo ultimo lavoro, SONOIO.
“Il nome è in italiano, SONOIO come Sono Io, semplice constatazione del fatto che questo disco è stato creato e prodotto esclusivamente da me. Nessuna boria, volevo soltanto mettere in luce l’intimità di un lavoro individuale rispetto alla dimensione – per certi versi stressante – della sala prove”. Alessandro Cortini è un trentaquattrenne musicista di Forlì che, dieci anni fa, ha deciso di prendere la via delle Americhe e mai più tornare. Dietro alla favola del ragazzo con zaino e chitarra in cerca di fortuna, si nasconde una storia tanto semplice quanto incredibile, fatta di scelte, sacrifici, coincidenze, e attraversata da una costante passione per la musica.
1999. Alessandro vuole studiare chitarra negli Stati Uniti e si trasferisce. L’idea è quella di rimanerci almeno un anno, “ma poi sono rimasto qui per una serie di convergenze particolari. Ho fatto il cameriere per un anno, poi ho capito che l’unica strada che mi avrebbe portato dove volevo erano le audizioni. La prima avventura è stata con i Mayfield Four, band della Epic Records. Ho suonato con loro un anno: è stata la mia prima famiglia americana. Poi ho fatto dell’altro, e ho cominciato a guadagnarmi il pane lavorando al Musicians Institute, all’interno KIT (Keyboard Department)”.
Poi, un giorno, ad Alessandro cade l’occhio su un volantino appeso all’Institute: cercasi chitarrista e tastierista per tour con i Nine Inch Nails; Trent Reznor, considerato uno dei personaggi più influenti d’America, cerca nuove leve per girare il mondo. L’occasione è da non perdere: “anche se l’audizione era prevista due giorni dopo, mi sono buttato, ho preparato due pezzi - “Wish” e “Closer” – e mi sono presentato davanti al batterista e bassista di allora, Jerome Dillon e Jeordie White. La settimana successiva sono stato richiamato e mi sono esibito davanti a Trent. Mi hanno quindi invitato nello studio (Nothing Studios, n.d.r.) per passare una giornata assieme, per eliminare gli ultimi scrupoli. Dopo qualche tempo, ho ricevuto la notizia di far parte dei Nine Inch Nails. Ricordo di averlo saputo mentre stavo facendo lezione a un solo studente: l’ho portato fuori, gli ho offerto un caffè e gli ho detto che non avremmo più potuto fare lezione”.
Il periodo di prove in preparazione al tour è stato intenso e massacrante, anche perché la figura di Alessandro – fin da subito – non è quella del semplice turnista: “ti dirò di più, mi sono sentito quasi parte effettiva della band. Il fatto che i Nine Inch Nails sono divisi in due entità , una in studio (coincidente totalmente con Trent) e un’altra live, interpretata da altre quattro diverse personalità , mi ha sostanzialmente permesso di fare quello che volevo: mi sono creato uno spazio mio, individuale, all’interno del progetto”. Pur non essendo tecnicamente un tastierista, Alessandro compare così sul palco dietro una strumentazione elettronica varia e complessa: “credo che abbiano voluto prendere una persona dotata di elasticità artistica; con i Nine Inch Nails ho sfruttato le mie capacità meramente tecniche soltanto al 5%, il lavoro più duro da questo punto di vista è stato trasferire le basi registrate per il tour precedente sullo strumento vero e proprio. Soprattutto per quanto riguarda i pezzi vecchi, Trent si è dimostrato tra l’altro apertissimo all’utilizzo di nuovi suoni”. Il ritmo del tour è quello di una delle più grandi rock band al mondo: due mesi via, una settimana a casa e poi via di nuovo: “all’inizio è stato entusiasmante, non lo nego. È il sogno di qualunque musicista e ho cercato di viverlo come si deve per almeno un paio di mesi. Poi mi sono adeguato ai ritmi del Trent sobrio, avendo anche l’immensa fortuna di lavorare con lui in studio, finito il primo spezzone di tour”. Alessandro si riferisce alla produzione di “Ghosts”, album anticonvenzionale di 36 strumentali che ha visto collaborare dentro le stesse mura Trent Reznor, Atticus Ross, Brian Viglione dei Dresden Dolls e Mr. Adrian Belew: “un’esperienza indimenticabile, spettacolare. Paradossalmente, è stato proprio quel periodo – così libero e creativo – a farmi pesare molto la tournée successiva; anche perché parte della band del tour di “With Teeth” non c’era più. Per me, rimanere anche quando sarei stato l’unico superstite di quella formazione sarebbe stato davvero troppo”. Quindi l’addio. Dopo quattro anni esatti, Alessandro lascia la band e torna ai propri progetti artistici e all’insegnamento. Con Trent la chiusura del rapporto ha qualche lieve strascico: “sì, inizialmente c’è stato un po’ di contrasto, abbiamo perso il contatto per un anno circa. Ma ultimamente ci siamo risentiti, soprattutto con il mio ultimo lavoro. Appena finito, gliene avevo mandata subito una copia: oltre ad apprezzare, Trent è stato fantastico nella diffusione della notizia. E – facile immaginarlo – solo il fatto che lui ne abbia parlato ha aiutato tantissimo la distribuzione”.
Una decisione dunque difficile, meditata, ma presa nel momento cruciale della vita di Alessandro. Riprende il discorso lasciato con i Modwheelmood (insieme a Pelle Hillström), con la pubblicazione del bellissimo “Pearls To Pigs” (raccolta di tre Ep pubblicati precedentemente), e arriva quindi, nell’ultimo anno, al lavoro su SONOIO.
Il disco, distribuito nel corso del 2010 in varie modalità (tra cui quella geniale di abbinare al digipack un minisynth, “SuONOIO” creato apposta per l’occasione da Alessandro), è il risultato di un lavoro di studio particolarmente ispirato: “i limiti che mi sono posto erano esclusivamente quelli delle macchine che ho utilizzato (Buchla, n.d.r.). Il suono sembra omogeneo? Per me non è così: quando sono davanti agli strumenti non so quello che voglio, può venire subito un’idea definita di pezzo oppure una svisata di quattro ore… accetto tutto ciò che viene. Sono delle reazioni a catena a far nascere i pezzi, come in un puzzle. Per questo, cerco di lavorare con un numero di tracce piuttosto limitato e soprattutto mi impongo di cominciare dalle macchine prima di passare al software”. Su questo punto, Alessandro è chiarissimo: si impara con la tastiera di fronte. E non tanto (o almeno, non solo) per una questione di impostazione da insegnante, quanto per una vera e propria dimensione differente di approccio creativo: “quando mi prestarono un vero minimoog capii l’imprescindibilità dell’interfaccia. L’interfaccia è un surplus di creatività ! L’ispirazione passa necessariamente per i polpastrelli, la musica nasce così”.
Nella realizzazione del disco, particolarmente fruttuoso è stato lo scambio di idee con Jon Bates (Mellowdrone, Big Black Delta): “siamo amici da tempo, è stato lui a insistere perché io inserissi qualcosa di italiano in quello che facevo. Ci siamo trovati a lavorare individualmente su alcuni pezzi e ci siamo dati suggerimenti l’uno con l’altro”. L’album rimane comunque il lavoro di una persona, e anche per questo difficilmente sarà seguito da un tour: “non adoro suonare dal vivo, davvero. È come se mi chiedessero di fare l’esame di maturità cinquanta volte in giro per l’Italia… quando creo, sono soddisfatto e sereno; per questo una volta terminato l’album, raramente lo ascolto e voglio anzi già produrre qualcosa di nuovo. Credo che ogni volta che suoni un pezzo dal vivo, perda qualcosa: me ne sono accorto perfettamente con i Nails”. Questa velocità di composizione, questi ritmi creativi febbrili, rendono complicato il rapporto di Alessandro con una qualsiasi label: “non penso che i miei tempi siano compatibili con le case discografiche. Per me la musica è terapia: se non riesco a fare le cose come voglio, mollo tutto e torno a fare il cameriere. Capisci?”. E per potersi arrangiare con SONOIO, Alessandro ha seguito un corso dimarketing diretto al cliente (fan) e ha sfruttato le possibilità della distribuzione via web. Ora il progetto è quello di almeno due-tre album all’anno: “qualche liveset lo farò certamente, per adesso in programma c’è un’apertura ai Recoil. Ad un mito come Alan Wilder, non ho potuto dire di no. Sarà comunque tutto molto semplice, pochi strumenti sul palco, un leggero gioco di luci”.
La convinzione di una musica futuribile soltanto attraverso la distribuzione gratuita digitale e l’arricchimento del packaging fisico è forte in Alessandro, e sembra ormai aver preso piede anche nelle major americane: “qui molte etichette discografiche si stanno adeguando; magari non danno l’album gratis, ma la direzione è quella. La dimensione dell’artista oggi deve essere molto attiva, a 360 gradi: devi promuovere la tua musica da te stesso, con gli strumenti adatti al pubblico che vuoi raggiungere. Cercare di mantenerti in contatto con chi ti ascolta il più possibile, sviluppando contatti di qualità e non di mera quantità : paradossalmente la libertà artistica la ottieni soltanto non vendendo milioni di copie. È per questo che mi sono inventato di abbinare all’edizione deluxe un synth costruito da me, “SuONOIO”. Si devono trovare i modi giusti per tornare a rendere appetibile il formato fisico della musica, io ci credo molto”.
E l’Italia? Ci tornerà mai, il giovane romagnolo con lo zaino e la chitarra? “Non potrei mai fare in Italia quello che sto facendo qui, per cui non ci ho mai pensato realmente. È una mezza bugia, perché non nascondo che mi piacerebbe fare qualcosa anche con artisti italiani. Il lavoro dei Bluvertigo mi ha entusiasmato nella mia adolescenza, e sarebbe bello lavorare con qualcuno di loro, ad esempio. Ma generalmente vedo ancora l’Italia, e soprattutto Forlì, come il paese che non mi ha fatto fare quello che volevo fare. C’è l’affetto per le persone che ho lasciato, ma anche un po’ di risentimento per non aver realizzato lì i miei sogni. D’altro canto, sono la dimostrazione vivente che se non ottieni ciò che vuoi in un posto, ci riesci da un’altra parte”.
La dimostrazione vivente che per fare una carriera artistica dignitosa devono entrare in gioco un sacco di variabili e convergenze più o meno fortunate, ma soprattutto la certezza di una costante, matematica, imprescindibile ricerca incondizionata della realizzazione personale, della propria felicità . “Nel mio caso, il punto è stato proprio seguire la mia corrente, seguirla ovunque mi portasse. È un mio vizio: sapere che se non sono felice, posso cambiare”.
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