Robert Plant
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Casa discografica: Mercury
Anno: 2010
Dal dizionario 24.000 dischi
Robert Plant
Chi si aspettava un seguito di Raising Sand, il disco prima con Alison Krauss, elogiatissimo e premiatissimo, non resterà deluso ma avrà motivi di sorpresa; perchè l’orizzonte è sempre quello, country folk rock di nobile radice americana, ma la tavolozza è più ampia, lo sguardo apertissimo, senza la monotonia che a mio avviso finiva per sbiadire il fascino di quel progetto. A Raising Sand ho sempre preferito Dreamland, il disco che nel 2002 inaugurò questa stagione di grazia. Ecco, fate conto che Plant abbia in qualche modo incrociato le due opere. Ha preso lo spirito avventuroso di quel rinnovato esordio ma ha abbandonato il repertorio Sixties e i toni più accesi per un viaggio più indietro, dagli anni ’50 alla tradizione profonda, con misurati colori volentieri acustici. Ad accompagnarlo, una signora band formata da Darrell Scott, Byron House, Marc Giovino più un fuoriclasse come Buddy Miller, storico collaboratore di Emmylou Harris che qui spicca anche come autore e co-produttore. Se l’album mantiene le promesse e ci lascia la bocca dolce, buona parte del merito va a lui.
Con la sua voce calda e meditata, che non ha più bisogno di urletti orgasmici per trovare la strada del cuore, Plant interpreta dolci slow della prateria (I’m Falling In Love Again), esorcismi gospel nel regno degli inferi (Satan, Your Kingdom Must Come Down), asciutti rockabilly che non sarebbero stati male nell’EP degli Honeydrippers, quando al nostro Zep negli ’80 era venuto l’uzzolo di rimettere il giubbone di cuoio (You Can’t Buy My Love). I salti di tempo non lo spaventano, l’entusiasmo è quello di un ragazzo. Può scendere a scandagliare il folk più primitivo ed esoterico (Cindy, I’ll Marry You Someday) e il brano dopo approdare ai giorni nostri, a un Townes Van Zandt tanto scostante da suscitare ammirazione e sgomento (Harm’s Swift Way).
Non vale chiedere se fa capolino qualcosa di Zeppelin, dopo quello che il nostro uomo ha detto e ridetto negli anni, ma se proprio qualche zuccone volesse impuntarsi sappia che al massimo il Plant 2010 si spinge al confine del terzo album e di pezzi come Hats Off To Harper, che nelle note accosta a un originale scritto con Buddy Miller, Central Two-O-Nine. Gli è cugino House Of Cards, di Richard Thompson, omaggio al vecchio amico e alla indimenticabile stagione del british folk di Pentangle e Fairport Convention; non fosse stato rapito da Odino e portato a predicare nel Valhalla del Rock, ecco, forse Plant sarebbe stato un innovatore in quel campo, con molta meno gloria e fama degli Zeppelin ma, viene da pensare, con più soddisfazione personale. Sarà per la prossima vita.
Band Of Joy ha i piedi saldi nel passato (la prima vera band di Robert prima degli Zep si chiamava così, fra l’altro) ma la testa svetta nel presente – anche questo è il suo bello. E il presente sono soprattutto i due brani dei Low, Silver Rider e Monkey, che Plant ha recuperato dai suoi più freschi ascolti e ripropone con la voce di Patty Griffin, con un arrangiamento che definisce “una sorta di incrocio tra This Mortal Coil e Shangri-Las”. Due belle cover ma non solo, mi azzardo a dire, una indicazione di che musica suonerebbe Robert Plant se non fosse un ragazzo del 1948 cresciuto a blues e sogno americano ma un suo figlio o nipote di trenta, quarant’anni più giovane. C’è un altro pezzo del disco che comunica la stessa impressione, Even This Shall Pass Away, il finale. Plant ha preso una poesia di metà Ottocento e l’ha musicata su uno sciolto ritmo funk, accantonando per una volta le chitarre gementi che trapuntano il disco per un nervoso ballo che investe la voce di una luce spettrale.
Se potessero esistere degli Zeppelin 2010, forse sarebbe questa la direzione; ma sono discorsi teorici, e vani, Pagey probabilmente non capirebbe, JP Jones avrebbe da ridire e io ho fatto la figura dello zuccone ostinato che dicevo prima. Sorry.
rockol.iti
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dimenticavo,voto 4 stelle e mezzo !!!!!non male davvero.
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L’ho sentito ieri sera per la prima volta, mi e’ piaciuto a meta’… alcuni brani hanno presa immediata, altri non credo mi ‘prenderanno’ mai… sulla qualita’ musicale delle esecuzioni ovviamente nulla da dire!
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Le Noise – Neil Young
Thickfreakness – The Black Keys
Rubber Factory – The Black Keys
Attack and Release – The Black Keys
Lust for Life – Iggy Pop
Grinderman 2 – Grinderman
Leonard Cohen Live in London – Leonard Cohen
Songs from the road – Leonard Cohen
Songs of Love and Hate – Leonard Cohen
Bob Dylan Live 1966 ‘The Royal Albert Hall’ Concert – Bob Dylan
Live at the 1964 Monterey Jazz Festival – Thelonious Monk
The Suburbs – Arcade Fire
Electro-Shock Blues – Eels
Souljacker – Eels
Modern Guilt – Beck
The Eraser – Thom Yorke
Animals – Pink Floyd
Is there anybody out there ? / The Wall Live 1980-81 – Pink Floyd
The All Seeing Eye – Wayne Shorter
Band of Joy – Robert Plant
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