…dimenticavo che B16 mi ha fatto rivalutare Honey Bee…..mi tiro le orecchie da solo perchè il mio ascolto di “Grinderman” era stato meno attento del dovuto.
N.B. = Invece la Generalessa impazzisce proprio per Honey Bee…..
Ci sono cose che mi lasciano perplesso, altre d’accordo in quest’intervista a Priviero, spero non me ne vorrete. Criticare gli Stones (che fanno gli adolescenti a cinquant’anni) quando tu ne hai 48 e mi sembra nessun intenzione di mollare il rock sul palco… e poi il paragone tra Mandela e il mondiale in Sudafrica qualcuno riesce a spiegarmelo? Mah! 30 anni fa’ in Italia si sentivano solo Nannini e Bennato con Un’estate italiana… OVUNQUE! Mandela Day si sentiva ancora per carita’, ma beninteso era dell’anno prima…
Massimo Priviero “Vasco e Liga
non lottano più”
Enzo Jannacci, quando incise il suo live-consuntivo, lo chiamò 30 anni senza andare fuori tempo. Per Massimo Priviero gli anni sono 20 e il titolo Rolling Live, ma la sostanza non cambia: senza andare fuori tempo. Nessuna resa mai, come il titolo della sua biografia e di un disco del ’90, quando muoveva i primi passi come Ligabue e gran parte della critica puntava su Priviero come «nuovo Springsteen». Non di rado la storia si diverte a sparigliare. Oggi Priviero ha 48 anni. E’ un rocker passionale e lirico. In Rolling Live compare Ciao amore ciao, il canto del cigno di Luigi Tenco a Sanremo. «Grazie al Club Tenco ho recuperato il testo originale, pacifista nel senso più nobile. L’Ariston glielo censurò. Al di là del suo malessere esistenziale, sono convinto che Tenco si sia ucciso anche per quella ulteriore delusione».
I live sono bilanci. Il suo è positivo?
«Molto. Amo pensare che il mio sia un percorso di umana resistenza. Sono come un falegname che costruisce un tavolo ed è poi felice di vederlo star su. La creazione è atto solitario: se poi riesci a condividere la tua solitudine con altri, hai vinto la sfida. A prescindere da quanti siano ad ascoltarti».
Nel suo caso potevano essere di più.
«Una scelta, perché pur non essendo un eroe non mi sono mai svenduto; e una incapacità, perché non sono mai stato abbastanza nazionalpopolare. Devi avere qualcosa dentro per scrivere a sessant’anni ciò che scrivevi a venti, come fa Vasco. Un aspetto criticabile, ma anche una dote. A me non riuscirebbe».
Bubola, Finardi, Priviero. Rocker «veri», che fanno numeri meno rilevanti di altri.
«Il rock italiano non esiste: esiste il rock in Italia. La mia idea è che oggi sia più rock cantare gli alpini in Russia, come faccio a teatro, piuttosto che raccontare sempre i bar di Reggio Emilia. Il rock in Italia si riduce troppo spesso a messaggi post-adolescenziali o slogan da centri sociali, del tutto funzionali al sistema».
Il rock in Italia non lotta più?
«L’artista di successo si limita a incidere la stessa canzone. Forse ha il terrore di perdere i 100mila spettatori di San Siro e quella sensazione è una droga, non lo so. Manca il coraggio. Springsteen, che sul palco è poco sotto Gesù bambino, ha fatto il contrario: poteva incidere Born in the Usa tutta la vita, ma non ha mai smesso di rimettersi in gioco. Ecco perché è Springsteen».
E in Italia?
«De Andrè, il primo De Gregori, Capossela. E i Diaframma, “il” rock in Italia».
Il rock può invecchiare o deve morire giovane?
«Può invecchiare solo se non diventa caricatura di se stesso. Capisco che il 2010 sia molto brutto, ma è qui che viviamo e fingere di essere nel ’77 mette tristezza. I Rolling Stones suonano ancora lezioni di rock’n’roll, ma oggi non andrei a vederli. Inutile fare gli adolescenti a cinquant’anni».
E Dylan?
«Il primo amore. In casa mia ascoltavano i Platters, io ero attratto da questo menestrello. Solo che comprai un disco particolare, Live in Bangladesh, e misi la seconda parte. Quella in cui suonava Ravi Shankar per mezzora. Pensai: Dylan me lo immaginavo diverso. Poi capii che avevo sbagliato lato».
Di Little Steven che ricordo ha?
«Steve mi ha insegnato che la musica non può cambiare il mondo, ma può attirare l’attenzione come nessun’altra arte. Oggi celebriamo i Mondiali in Sudafrica: vent’anni fa cantavamo la liberazione di Nelson Mandela. Il paese è allo sfacelo, ma spero ancora. L’Italia, nei momenti peggiori, è stata sempre salvata da minoranze straordinarie. Sono loro che mantengono la luce accesa».
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Andrei volentieri il 7 Luglio ma è un mercoledì :-((
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che palle,come sono monotoni e noiosi….uffa
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….consiglio oi va voi….!!!
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io non consiglio nulla stavolta o forse si i Gong o Bubola,wow ma per me Asti e’ lontana:-)
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Intervista datata 2007, piu’ un paio di live download e video per Nick Cave/Grinderman:
http://nickcavefixes.wordpress.com/2010/03/13/grinderman-revisited/
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se fossimo allo stadio…. e io tenessi il megafono….. ordinerei subito 5 minuti di cori per B16!!!!!!
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…dimenticavo che B16 mi ha fatto rivalutare Honey Bee…..mi tiro le orecchie da solo perchè il mio ascolto di “Grinderman” era stato meno attento del dovuto.
N.B. = Invece la Generalessa impazzisce proprio per Honey Bee…..
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e questo e’ il significato piu’ profondo dell’esistenza del rock caffe’,la musica unisce e ha il POWER,rock on
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un super power…!!!!
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Ci sono cose che mi lasciano perplesso, altre d’accordo in quest’intervista a Priviero, spero non me ne vorrete. Criticare gli Stones (che fanno gli adolescenti a cinquant’anni) quando tu ne hai 48 e mi sembra nessun intenzione di mollare il rock sul palco… e poi il paragone tra Mandela e il mondiale in Sudafrica qualcuno riesce a spiegarmelo? Mah! 30 anni fa’ in Italia si sentivano solo Nannini e Bennato con Un’estate italiana… OVUNQUE! Mandela Day si sentiva ancora per carita’, ma beninteso era dell’anno prima…
Massimo Priviero “Vasco e Liga
non lottano più”
Enzo Jannacci, quando incise il suo live-consuntivo, lo chiamò 30 anni senza andare fuori tempo. Per Massimo Priviero gli anni sono 20 e il titolo Rolling Live, ma la sostanza non cambia: senza andare fuori tempo. Nessuna resa mai, come il titolo della sua biografia e di un disco del ’90, quando muoveva i primi passi come Ligabue e gran parte della critica puntava su Priviero come «nuovo Springsteen». Non di rado la storia si diverte a sparigliare. Oggi Priviero ha 48 anni. E’ un rocker passionale e lirico. In Rolling Live compare Ciao amore ciao, il canto del cigno di Luigi Tenco a Sanremo. «Grazie al Club Tenco ho recuperato il testo originale, pacifista nel senso più nobile. L’Ariston glielo censurò. Al di là del suo malessere esistenziale, sono convinto che Tenco si sia ucciso anche per quella ulteriore delusione».
I live sono bilanci. Il suo è positivo?
«Molto. Amo pensare che il mio sia un percorso di umana resistenza. Sono come un falegname che costruisce un tavolo ed è poi felice di vederlo star su. La creazione è atto solitario: se poi riesci a condividere la tua solitudine con altri, hai vinto la sfida. A prescindere da quanti siano ad ascoltarti».
Nel suo caso potevano essere di più.
«Una scelta, perché pur non essendo un eroe non mi sono mai svenduto; e una incapacità, perché non sono mai stato abbastanza nazionalpopolare. Devi avere qualcosa dentro per scrivere a sessant’anni ciò che scrivevi a venti, come fa Vasco. Un aspetto criticabile, ma anche una dote. A me non riuscirebbe».
Bubola, Finardi, Priviero. Rocker «veri», che fanno numeri meno rilevanti di altri.
«Il rock italiano non esiste: esiste il rock in Italia. La mia idea è che oggi sia più rock cantare gli alpini in Russia, come faccio a teatro, piuttosto che raccontare sempre i bar di Reggio Emilia. Il rock in Italia si riduce troppo spesso a messaggi post-adolescenziali o slogan da centri sociali, del tutto funzionali al sistema».
Il rock in Italia non lotta più?
«L’artista di successo si limita a incidere la stessa canzone. Forse ha il terrore di perdere i 100mila spettatori di San Siro e quella sensazione è una droga, non lo so. Manca il coraggio. Springsteen, che sul palco è poco sotto Gesù bambino, ha fatto il contrario: poteva incidere Born in the Usa tutta la vita, ma non ha mai smesso di rimettersi in gioco. Ecco perché è Springsteen».
E in Italia?
«De Andrè, il primo De Gregori, Capossela. E i Diaframma, “il” rock in Italia».
Il rock può invecchiare o deve morire giovane?
«Può invecchiare solo se non diventa caricatura di se stesso. Capisco che il 2010 sia molto brutto, ma è qui che viviamo e fingere di essere nel ’77 mette tristezza. I Rolling Stones suonano ancora lezioni di rock’n’roll, ma oggi non andrei a vederli. Inutile fare gli adolescenti a cinquant’anni».
E Dylan?
«Il primo amore. In casa mia ascoltavano i Platters, io ero attratto da questo menestrello. Solo che comprai un disco particolare, Live in Bangladesh, e misi la seconda parte. Quella in cui suonava Ravi Shankar per mezzora. Pensai: Dylan me lo immaginavo diverso. Poi capii che avevo sbagliato lato».
Di Little Steven che ricordo ha?
«Steve mi ha insegnato che la musica non può cambiare il mondo, ma può attirare l’attenzione come nessun’altra arte. Oggi celebriamo i Mondiali in Sudafrica: vent’anni fa cantavamo la liberazione di Nelson Mandela. Il paese è allo sfacelo, ma spero ancora. L’Italia, nei momenti peggiori, è stata sempre salvata da minoranze straordinarie. Sono loro che mantengono la luce accesa».
Andrea Scanzi. La Stampa.
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Pardon, vent’anni fa’…. per un’estate italianaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa…..
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scanzi mi sta sui maroni ma grazie lo stesso b16
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anche a me…. ma stavolta almeno ha fatto solo domande e poche considerazioni….
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gia’ meno male
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L’HO LETTA ANCHE IO. A PARTE GLI STONES DICE COSE MOLTO CONDIVISIBILI CMQ.
AUGH
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