A volte le band si formano quasi spontaneamente, già amalgamate e magicamente pronte a dare il massimo; altre volte invece si assiste ad un processo lungo, fatto di figurine che vengono attaccate e staccate freneticamente.
Questo secondo caso è quello dei Band Of Horses, complesso che ha visto la luce a Seattle per poi mutare forma infinite volte nell’arco di un solo lustro ed infine riapparire, stavolta nel South Carolina, con una formazione nella quale l’unico superstite è il frontman Ben Bridwell.
Un’evoluzione così farraginosa rispecchia fedelmente la maturazione stilistica del gruppo, spostatosi dalle velleità alternative della patria del grunge al southern rock ora caro ai suonatori ed allo stesso quartier generale scelto.
Infinite Arms è quindi l’album che dovrebbe (il condizionale è obbligatorio, visti i precedenti) chiarire la collocazione ultima di Bridwell e soci, ormai a proprio agio fra stivali, cappelli da cow-boy e chitarre.
A sottolineare il ritorno alle radici torna assai utile il primo singolo estratto: Compliments è infatti un ottimo condensato di sonorità già proprie di padri putativi storici quali gli America, gli Eagles, i Creedence e via dicendo.
Ritmo fluido, chitarre abbondanti e strutturate, cantato credibile e cori fanno di Infinite Arms un prodotto perfetto per chi, accingendosi ad attraversare coast to coast gli USA, voglia infilare nell’autoradio anche un disco contemporaneo senza però allontanarsi troppo dai classici del caso.
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