Mercury Rev Live
Nel tardo pomeriggio del 13 luglio, sfogliando un quotidiano gratuito abbandonato sul treno scoprivo un imminente concerto dei Mercury Rev. Tempo di tornare a casa e ripartire alla volta di Paderno Dugnano ,e con mia grande sorpresa, dovuta alla disinformazione più che mai, scopro uno spazio per la musica dal vivo che non conoscevo, tra l’altro dove meno mi sarei aspettato di trovarne uno: a poche centinaia di metri da un’uscita della superstrada Milano-Meda, in un anfratto quasi nascosto del paradiso dei centri commerciali. Affiancato a un complesso quelli più o meno identici che hanno invaso le nostre periferie, sorge un grande parco che ospita un lago artificiale e un piccolo ma grazioso anfiteatro all’aperto, ricavato su una collinetta con delle gradinate di legno e dotato di un modesto parterre pavimentato. Questo scorcio inedito e quasi miracoloso di hinterland milanese dal 2001 ospita il Festival Lago Nord(http://www.lagonordlive.it), giunto quest’anno alla nona edizione. Scusate il ritardo.
Cornice ottima insomma, in ragione anche delle venature pastorali del gruppo di Buffalo, più forti nel passato ma mai del tutto sopite. I Mercury Rev hanno cambiato la morfologia del rock anni ’90-‘00. Magari in maniera meno vistosa e celebrata di altri, nonostante un sound eclatante fin dall’inizio, memore, per interposta lezione dei Flaming Lips – a cui comunque avevano contribuito gli stessi Jonathan Donahue e David Fridmann, un tempo bassista e produttore dei MR, dando manforte a Wayne Coyne nell’album In a Priest Driven Ambulance -, del rock acido degli anni ’60, del pop/rock orchestrale, da Phil Spector ai Pink Floyd, e dell’indie anni ’80. Un bignami direbbe: quintessenza della psichedelia moderna trasformata progressivamente in un pop maestoso.
Ed eccoli allora dal vivo, con un suono più contenuto, in funzione dello spazio e della formazione relativamente ridotta – voce, una-due chitarre, basso, tastiere, batteria – se il riferimento sono le orchestrazioni genialmente dispersive dei dischi.
Sound potente ma non compatto, ricco di vibrazioni polifoniche; e complesso che come pochi conosce pochi la maniera di fare lievitare una melodia o un riff, anche i più semplici e circolari.
I Mercury Rev si affidano come di consueto al flusso sonoro dell’insieme più che a prodezze strumentali dei singoli: crescendo sovrapposti che amplificano la costruzione di base dei pezzi, atmosfere ad alto volume e la nota tendenza dilatatoria ad allungare le appendici finali dei pezzi fin quasi all’infinito.
Gli stacchi più violenti alla fine sembrano essere i vuoti, come le strofe di Tonite It Shows, che in punta di piedi entrano dopo il finale di People Are So Unpredictable. Jonathan Donahue si muove spiritato e ogni tanto mima gesti da mago: Grasshopper, soprattutto, si diverte. In scaletta vincono i pezzi dell’ultimo disco,Snowflake Midnight, e i brani consacrati di Deserter’s Songs, ma non dimentichiamoFrittering, graditissimo ripescaggio da Yerself Is Steam. Bis conclusivo con Goddess on a Hiway; come dire, apoteosi.
di Tommaso Iannini
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