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Jimi Hendrix
Voto:Â
Voto utenti:Â
Casa discografica: Experience Universal
Anno: 2009
Dal dizionario 24.000 dischi
Jimi Hendrix
La storia è una cosa seria e non si capisce perchè gli anniversari non debbano essere celebrati alla data giusta. Il rock è forse un’arte spannometrica? Electric Ladyland uscì il 12 ottobre 1968 eppure i quarant’anni vengono festeggiati solo adesso, mesi dopo, con un’edizione de luxe che di lussuoso ha poco: un CD senza bonus che ricalca l’ultima edizione 1997 e un DVD già edito sul making of con l’aggiunta di una buona mezz’ora scartata. Sono due pezzi bellissimi, ma il dispetto è che manca qualcosa: manca l’approfondimento, mancano i nastri che documentano il progredire complicato dell’album e che avrebbero fatto la ricchezza di un’edizione davvero de luxe. Il bello è che questi nastri esistono, nella pancia dei misteri hendrixiani, e il tecnico Eddie Kramer ce ne allunga giusto qualcuno come stuzzichino nel corso del DVD. Seduto alla consolle come ai tempi belli, le dita agili sui cursori, Kramer apre finestrelle meravigliose su demo e alternate takes: una traccia acustica di 1983, un’altra di Gypsy Eyes, una Voodoo Chile con Jimi che deve fermarsi per una corda rotta mentre la band tira avanti, e Stevie Winwood prende tempo con il suo Hammond dalle sette leghe. A noi, nel frattempo, lo stuzzichino è andato di traverso.
Electric Ladyland fu l’incubo finito di Jimi Hendrix come Cry Of Love sarebbe stata l’ossessione incompiuta. L’estenuante lavoro di registrazione, montaggio e smontaggio dei nastri, che si era tradotto nel buon divertimento del disco prima,Axis: Bold As Love, prese qui la mano al suo artefice. Hendrix passò quasi un anno a fare e disfare, spesso in solitudine, lontano dai compagni Experience e dal saggio consigliere Chandler. Seminò e raccolse musica a Londra, a Los Angeles e a New York, dove infine credette di avere individuato la Terra Elettrica, chiuso per centinaia di ore tra le mura dei Record Plant mentre la bolletta saliva a cifre astronomiche (anche 5000 dollari a settimana). Diventò prigioniero della musica che immaginava e non riusciva a realizzare, per la disperazione di coloro che gli erano intorno: Mitchell e Redding innanzitutto, estranei al progetto e ridotti al rango di “ospiti in studio”, Chas Chandler, mortificato ad “ascoltare Jimi senza muovere un muscolo, in cambio di una lauta royalty“, e i discografici, che mal sopportavano dubbi e lungaggini in un momento in cui il mercato tirava e c’era fame di prodotti nuovi.Â
Alla fine, a un anno dall’ultimo LP e dopo vari progetti incompiuti (un album di pure improvvisazioni programmato come Band Of Gypsy, uno più normale da intitolarsiWave), Electric Ladyland prese forma come un doppio disco di 16 brani, con la sigla classica Experience ma segni anche di novità , di altri desideri. Rari i brani eseguiti davvero in trio, lungo invece l’elenco degli amici chiamati a partecipare: nomi storici come Steve Winwood, Jack Casady, Al Kooper, Dave Mason, carneadi come Mike Finnigan, imbucati come Larry Faucette, un taxista che un giorno portò Jimi al Record Plant e gli confessò di essere un percussionista – “allora vieni anche tu”, propose Hendrix, e lo fece suonare. Era il primo disco veramente suo e una febbre creativa lo divorava, portandolo a delirare. “Stiamo trasformando la nostra musica in gospel elettrico; un nuovo tipo di Bibbia, ma non come quella che trovi negli alberghi – una Bibbia che porti nel cuore e che ti dà una sensazione fisica. Cerchiamo di fare della musica libera, dura, che batte forte sull’anima così da aprirla. Come l’elettrochoc, come un apriscatole… La mia musica è blues… E’ cruda, spirituale. Un giovane animale selvatico”.Â
Nella Terra Elettrica cartografata da Jimi c’è posto per molto, se non per tutto. I fumi psichedelici dei primi due LP si levano ancora, nel testo “cosmico” della title track e nella terza facciata soprattutto, dove i furori creativi stemperano in un dolce sogno a occhi aperti, 1983, Moon Turn The Tides; ma non mancano canzoni in senso stretto, come Come On, come Gypsy Eyes, non più libere in spazi astrali ma fisse alla nuda terra blues. Jimi opera sui brani come un tessitore con fili di consistenza e colore diverso. Le sue sovraincisioni sono luminose e accurate, in una spasmodica ricerca del dettaglio. Nuove voci lo turbano: il wah wah di Rainy Day e Still Raining, brani gemelli (“Il wah wah ti da una sensazione non di depressione ma di desolazione, di noia per qualcosa”), un sitar elettrico suonato con il wah wah che geme in fondo a1983, il clavicordo di Burning Of The Midnight Lamp, mescolato a nastri, al mellotron e alle voci soul delle Sweet Inspirations. Taglienti folate di noise screziano brani come Crosstown Traffic, Electric Ladyland e And The Gods Made, l’ingenuo inizio che vuole “raccontare cosa succede quando gli dei fanno l’amore o si dedicano a qualche altro passatempo”.
A questa prodigiosa vista del leader, che come Pete T. spazia “for miles, miles, miles”, non corrisponde altrettanto genio nei compagni Experience. Mitchell ha braccia di ferro e riesce a seguire Jimi con senso e devozione ma Redding è come sgomento dall’evolversi della situazione. In molti brani il basso è suonato dal bulimico Jimi e il piccolo contributo d’autore che il leader gli concede, Little Miss Strange, è assolutamente ininfluente nell’economia generale – un balbettìo intruso, anzi una stecca. Con che pena nel DVD si ascolta Redding rievocare quell’album così poco suo e delirare che certe canzoni valgono poco. (Sguardo nel vuoto, i lineamenti tesi). All Along The Watchtower, per esempio. (Sorriso imbarazzato). “Era meglio l’originale di Dylan”.
Questa sì che è una notizia. Un terrestre, per giunta musicista, per giunta “persona informata dei fatti”, dichiara di non amare uno dei sommi capolavori del rock di tutti i tempi! All Along in effetti è quello, assolutamente quello; non una semplice cover ma una formidabile trasfigurazione, una riscrittura tanto potente da alterare i connotati dell’originale e costringere l’autore stesso a prenderne atto. Hendrix spianta l’originale germoglio acustico, cresciuto nel giardino in penombra di John Wesley Harding, e lo reinnesta su un ceppo di abbagliante elettricità , con una chitarra da tempesta sostenuta con forza tribale dalla sezione ritmica. E’ forse il miglior “arrangiamento” hendrixiano di sempre, se il termine ha un senso, e una delle sueperformances vocali più convincenti; e non è un caso che ciò avvenga con un pezzo di Dylan, se è vero che Jimi aveva preso coraggio a cantare muovendo proprio dall’esempio di quella voce, non bella secondo i canoni dell’estetica ma viva, vera, abrasiva.
L’altro capolavoro del disco, reference memorabile, è Voodoo Chile, il definitivo blues hendrixiano, inventato all’impronta con i ricordi di classici temi blues (da Robert Johnson a Muddy Waters, da Rolling Stone a Catfish Blues). Ci sono facili suggestioni nere e immagini di una ingenua mitologia dark ma a levare il fumetto del testo provvede la musica, che “succhia miele da un favo chiamato blues” con forza rabbiosa e la libertà di una jam. Nell’alto delle sue fantasie Jimi è stregone,medicine man, “prince of darkness” come l’amico Miles, e in 15 turbinosi minuti (più i cinque dello slight return) “ci conduce lungo la storia del blues nel senso più ampio del termine, da Peetie Wheatstraw a John Coltrane passando per Muddy Waters e BB King”.
Electric Ladyland infiammò gli appassionati e deliziò la critica. “Il selvaggio del Borneo” era diventato “il Robert Johnson degli anni 60”, per usare la fortunata definizione di Tony Glover su Rolling Stone, “primo chitarrista della storia totalmenteelettrico”; e a 26 anni si spalancavano per lui le porte della Hall Of Fame. Dietro la sua fortuna, però, l’album lasciò un cumulo di rovine; a giugno 1969 la Experience si sciolse e negli stessi mesi anche Chandler si chiamò fuori, vendendo la sua quota del management a Mike Jeffery. Jimi Robert lo ignorava ma stava avvicinandosi at the crossroads, e ad attenderlo non il demonio ma la morte in persona.
Riccardo Bertoncelli
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Stones remastered
I Rolling Stones stanno rimasterizzando 14 album (post 1971) che metteranno sul mercato in fasi differenti, a cominciare da Sticky Fingers, Goats Head Soup, It’s Only Rock’n’Roll e Black And Blue, usciti lo scorso 5 maggio.
Gli album rimasterizzati mantengono l’ordine originale delle tracce e i fans potranno acquistare un apposito box nel quale inserire l’intera raccolta.
L’uscita è parte dell’accordo che i Rolling Stones hanno stipulato con la nuova casa discografica Universal Music Group.
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grazie Aloisio,sto gia’ risparmiando per prendermi questo e quello dei Beatles……….ma a settembre!rock on
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PERO’ NELLE RISTAMPE STONES HANNO CENSURATO STAR STAR…. NON SI SA PERCHE’ NEL 94 REMASTERED NO E STAVOLTA SI…. E CI SONO PURE UN SACCO DI FANS INCAZZATI NERI…
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cosa mi consigli b16?Di comperarlo lo stesso il box?
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