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Mauro Pagani – Foto di gruppo con chitarrista
Mauro Pagani ha sempre affermato di essere “un bluesman scappato da casa che ha fatto il liceo classico”. Per anni abbiamo ascoltato i suoi mediterranei blues, ora tocca agli studi liceali; con un lungo romanzo a scatti, a flash, molto di ricordi e un po’ di fantasie (ma così sono i romanzi, come i testi delle canzoni) che percorre dieci anni che sconvolsero il mondo e la testa di tutti noi, dicembre 1969-giugno 1979. Il libro è scritto bene seppure un po’ verboso e con troppi dialoghi, ma il pregio maggiore è la singolare architettura e la scelta di non ricamare troppe nostalgie, raccontando “non come eravamo ma come avremmo potuto essere”.
Pagani si acquatta, lascia il ruolo di protagonista a un suo più inquieto e sfortunato alter ego, Sonny; e comodo in quella postazione racconta la storia spostandosi da Milano a Londra a Miami a L’Avana, per tornare nella Milano dell’ultima estate ’70, quella della morte di Demetrio Stratos, quella della fine di tante illusioni e dell’ingresso della sua (della mia) generazione in una ambigua aspra età adulta. Molta musica, molta politica, il Prog e Parco Lambro ma anche il Movimento Studentesco e la strage di Piazza Fontana; e soprattutto una struggente Milano naif che non c’è più, fatta di pensioncine per musicisti squattrinati e puttane, di bar per artisti, di balere, night e locali beat, dove sognare un fantastico futuro al ritmo di qualche sgangherato rimmenblues, “tra James Brown e il dopolavoro ferroviario”.
di Riccardo Bertoncelli
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