LO SCENARIO
Non intercorse molto tempo fra l’esplosione del punk britannico e i suoi primi segni di ruggine. “Anarchy In The UK†entrò in classifica nel dicembre del 1976, il 1977 segnò la diffusione a macchia d’olio di creste e ‘no-future’, il 1978 ammortizzò l’impatto, il 1979 segnò il declino, il 1980 celebrò i funerali (e la rinascita sotto altre forme).Â
Dopo l’entusiasmo iniziale, molti fra i musicisti che avevano iniziato a suonare spinti dalla vicenda Sex Pistols, si distaccarono da quel modello. Alcuni rimasero fedeli alla chitarra, pur andando a ricercare formule oblique e sperimentali, altri inserirono nel proprio armamentario una dose sempre maggiore di sequencer e tastiere: non sono rare le band dell’epoca segnate da una discografia che di album in album aumenta il proprio quoziente elettronico, sino ad annichilire i restanti strumenti. Possiamo quindi affermare, seppur a grandi linee, che nel triennio ’78-’80 debuttarono le band chiave del primo post-punk britannico, che manteneva un sottointeso nichilista, ma lo elaborava da un punto di vista più colto e ne traeva risvolti filosofici che il punk avrebbe osservato con diffidenza. Trovando linfa nel dandismo bowiano e nella letteratura fantascientifica, questa corrente dipinse un’umanità gelida e svuotata, facendo perno su immagini luminescenti e geometrie eleganti, paradossalmente pregne di un pur distaccato romanticismo. La new-wave successiva al 1980 portò invece alla ribalta una serie di band decise a spostare il baricentro verso un romanticismo più lineare: si tornò pertanto a interpretare l’individuo prima di tutto come figura portatrice di sentimenti.
Gary Numan rappresentò la figura chiave della prima scuola, che potremmo ironicamente indicare come post-punk distopico. Fra le band più celebri a affrontare tematiche simili alle sue, ricordiamo gli Ultravox dei primi tre album, i Joy Division di “Atrocity Exhibitionâ€, i Normal di “Warm Leatheretteâ€, gli Human League di “Circus Of Deathâ€, i Buggles di “Video Killed The Radio Starsâ€, gli Orchestral Manoeuvres In The Dark e i Comsat Angels. L’autore più saccheggiato dai nomi di cui sopra è stato senza dubbio James Graham Ballard: catastrofi (imminenti o già avvenute), fobie, perversioni e odio per la società industriale sono infatti alcuni fra i temi ricorrenti di Ballard, perfettamente assorbiti e rielaborati dalle band in questione, talvolta citando apertamente i titoli di romanzi e racconti.Â
L’immaginario di Ballard ha influito su quella generazione di musicisti come quello di nessun altro scrittore: fu talmente potente l’onda d’urto delle sue opere che potremmo addirittura ipotizzare un’azione diretta sul sound, oltre che su testi e look. Il progressivo aumento della componente elettronica servì probabilmente proprio a rendere in maniera verosimile la condizione umana descritta dall’autore: androidismo, schizofrenia, caduta della ragione. Un’umanità borderline, costantemente sull’orlo dell’implosione. Aggiungete al tutto la situazione politica del periodo, con un Regno Unito economicamente in ginocchio, la guerra fredda e l’incombere della minaccia atomica, e avrete un’idea dello sfondo che vide operare questi artisti.
I TUBEWAY ARMY
Novembre 1978: la Beggars Banquet pubblica in tiratura limitata l’album omonimo dei Tubeway Army (****). Il loro leader è Gary Numan, ragazzo ventenne proveniente dai sobborghi londinesi. La band suonava inizialmente uno scarno punk-rock nella media dell’epoca, ma Numan decise di modificarne presto la traiettoria, iniziando a maneggiare un minimoog. L’album, per quanto in forte debito col punk, mostra riff elettronici e intermezzi cacofonici del tutto inusitati, che rintracciamo in forme simili soltanto nei primi Ultravox e nel coevo album degli Stranglers, “Black And Whiteâ€. Il primo brano, “Listen To The Sirensâ€, si apre con i versi ‘Flow my tears, the new police song’, che fanno il verso al romanzo di Philip K. Dick “Flow My Tears, The Policeman Saidâ€. Salta subito all’occhio la complessità dei testi: appassionato di science fiction, sin da adolescente Numan si è immerso nei classici di Ballard, Dick, Burroughs e altri autori relativi a quell’universo. Una cultura superiore a grosso dei suoi coetanei gli ha consentito di scrivere canzoni insolite, sorrette da nebulose associazioni di immagini: Numan narra eventi senza costruire una trama e senza specificarne la sequenzialità . Non è chiaro cosa avvenga prima e cosa dopo, né se fra gli eventi narrati sia stato omesso qualcosa. Gli ipotetici salti temporali e gli eventuali avvenimenti che l’autore evita di raccontare rendono difficoltosa l’interpretazione dei testi, che si rivelano collage di disegni non necessariamente collimanti, in cui il tema principale equivale semplicemente – a seconda dei gusti – alla più suggestiva fra le situazioni descritte. Nello specifico, in “Listen To The Sirens†possiamo ipotizzare uno stato dominato dalla polizia, come nell’opera di Dick che viene parafrasata nei primi versi: su questo scenario si inseriscono immagini di una società senza coscienza collettiva e dominata da movimenti automatici (“Some vehicle moves in circles, Some people need the heroes, But I don’t mind, I don’t mindâ€), vicende riguardanti la limitazione della libertà personale (“Mister Webb there is no way out, Love this room, please dont fight your walls, Can you see I’m wasting your timeâ€) e una capacità reattiva che va pian piano affievolendosi (“My visions like an old film, shaky. Theres nothing through my window, okay. No photo by my bedside, black/white. No image in my mirror, bye byeâ€). Grande architetto di situazioni distopiche e maestro nell’utilizzo dei flashback e delle distorsioni temporali, Numan rende percepibile l’idea dei suoi racconti, lasciandone però nell’ombra lo svolgimento. I due singoli del 1978, “That’s Too Bad†e “Bombersâ€, esclusi dall’album, si muovono grossomodo nella stessa direzione.
Aprile 1979: esce “Replicas†(*****), seconda opera dei Tubeway Army, ancora su Beggars Banquet (come del resto accadrà per ogni uscita sino al 1985). L’album venne registrato in tre mesi (fra il dicembre 1978 e il febbraio 1979) da un Numan particolarmente irrequieto: quasi tutti i brani inclusi nella versione definitiva furono eseguiti, remixati e assemblati più volte. E’ oggi possibile comprendere il processo creativo in fase di produzione comparando la versione iniziale e il prodotto finito: nel 2008 è stato infatti pubblicato “Replicas Reduxâ€, contenente sia l’album, sia i demo che gli diedero origine. Numan all’epoca aveva soltanto ventuno anni, e è incredibile constatare quale miracolo sia riuscito a compiere in sala di incisione, conferendo al tutto un suono corposo e unitario, eppure riuscendo a far rimanere percepibile ogni sfumatura, con una precisione da intervento chirurgico. Filtrando Kraftwerk, Bowie e Ultravox, Numan aveva appena cristallizzato il synth-pop, creandone la dimensione che avrebbe invaso le classifiche degli anni Ottanta. Le chitarre, escludendo un paio di episodi, non erano ormai che modeste gregarie.
I due elementi che impressionano in “Replicasâ€, e che sarebbero diventati veri e propri marchi di fabbrica, sono i riff del sintetizzatore, dalle trame sature e metalliche, eppure tanto imponenti da generare un vago retrogusto sinfonico, e il suono denso del basso, sovente doppiato da una linea tastieristica. A suonarlo era un giovane, maiuscolo Paul Gardiner (morì di overdose il 4 febbraio 1984).
I testi dell’album riprendono un romanzo che Numan aveva provato a scrivere qualche anno prima: si narra di un mondo futuro composto da città -stato coperte da enormi cupole e isolate le une dalle altre. All’interno di una di queste città , un grande calcolatore – costruito con lo scopo di organizzare meglio la vita sociale – decide di sterminare gli esseri umani. Istituisce così un test di intelligenza, e spedisce in centri di recupero chiunque non riesca a superarlo. Due gli inganni: il test è di una difficoltà estrema, e chi non lo supera viene in realtà eliminato. Quando gli umani se ne accorgono sono ormai rimasti in pochi: decidono comunque di rifugiarsi nel sottosuolo e di muovere guerra all’esercito di androidi al servizio del calcolatore. Non sperate ovviamente di riuscire a captare tutto ciò semplicemente leggendo i testi: se siamo riusciti a ricostruire la trama è grazie alle dichiarazioni dello stesso autore, visto che le canzoni, come al solito, si dipanano tramite sfasature, ricordi improvvisi, immagini contraddittorie e via dicendo.Â
Quanto bastava ad affascinare una marea di giovani in cerca di identità dopo il crollo del punk, comunque sia: quando i Tubeway Army si esibirono nel maggio del 1979 a Top Of The Pops cantando “Are ‘Friends’ Electric?â€, il pubblico rimase ipnotizzato da questo giovane vestito di nero, dalle sue sembianze androgine, dalla sua voce esile e distaccata, dal testo impenetrabile (“Now the light fades out, And I wonder what I’m doing in a room like this, There’s a knock on the door, And just for a second I thought I remembered you“).Â
Il brano è una fantasia elettronica mid-tempo lunga oltre cinque minuti (cosa non comune per un singolo, oggi come allora), aperta da un riff accattivante, ma praticamente senza ritornello. Numan alterna fasi cantate e parlate senza raggiungere alcun climax, mentre il substrato strumentale è costituito da più melodie sintetiche assemblate fra loro e lasciate a scorrere ciclicamente sull’ipnotico tappeto ritmico guidato da Gardiner: da una struttura del genere si potrebbe trarre un ipotetico moto perpetuo della forma-canzone. A ogni modo, nessuno avrebbe potuto prevedere che un pezzo tanto inusuale sarebbe finito di lì a breve al primo posto della classifica inglese, trascinando in vetta anche l’album.
I rimanenti brani sono più lineari, ma graziati da un sound altrettanto inedito: ecco così “Me! I Disconnect From You†con il suo memorabile incipit a scatti, il passo magniloquente della title-track, gli hard-rock de-mascolinizzati di “The Machman†e “It Must Have Been Yearsâ€, gli scarabocchi sintetici su ritmo disco di “Praying To The Aliensâ€, la ballata “Down In The Parkâ€, fra le prime interamente elettroniche.
CARRIERA SOLISTA
Settembre 1979: con “Replicas†ancora saldo in top-20, Numan pubblica il terzo album, “The Pleasure Principle†(****½). Questa volta in copertina campeggia il suo stesso nome: i Tubeway Army del resto non erano che una sua proiezione.
Il disco debutta al primo posto in GB e segna la nascita di un esercito di fan (i ‘numanoidi’) che garantirà al proprio idolo un breve ma intenso periodo di popolarità . Il singolo di traino è “Carsâ€, che raggiunge il numero 1 in madrepatria nella stessa settimana dell’album, e pochi mesi dopo, piazzandosi al numero 9 nella classifica di Billboard, diventa il primo vero hit synth-pop sul mercato americano (l’album si spingerà fino al numero 16). “Cars†rimane a tutt’oggi il brano con cui tutti identificano Numan: memorabile riff sintetico, strofa e ritornello brevissimi, lunga coda strumentale con colate elettroniche a sfumare l’una sull’altra e violenti schianti di batteria elettronica a rinforzare il battito di quella tradizionale.
Gli arrangiamenti di “The Pleasure Principle†proseguono il discorso iniziato in “Replicasâ€: eliminate del tutto le chitarre, Numan ne utilizza i pedali e l’effettistica per filtrare i sintetizzatori, e ne trae un timbro tagliente come un rasoio. I momenti più atmosferici vengono invece sottolineati da violino e viola, suonati rispettivamente da Billy Currie (in trasferta momentanea dagli Ultravox) e Chris Payne.Â
Lo sfondo rimane futuristico, asettico, androgino: l’artista porta anzi il tutto all’estremo, con la tracklist composta esclusivamente da titoli di una parola, per esprimere al meglio il secco senso di velocità , l’essenza dello scatto, la stilizzazione del proprio immaginario. Oltre a “Cars†troviamo due classici del repertorio numanoide: “Complexâ€, ballad dal retrogusto barocco (#6 in GB fra i singoli), e “Metalâ€, inesorabile marcia cyber-punk (da non perdere l’avveniristico video promozionale girato per quest’ultima, che vede l’artista aggirarsi fra i tralicci e le torri di una centrale elettrica).
Per quanto chi scrive consideri “Replicas†l’insuperato vertice di Numan, l’impatto avuto da “The Pleasure Principle†sulla popular music successiva è stato a dir poco impressionante: ne hanno tratto sample per i propri brani, o proposto rivisitazioni, una miriade di artisti dalle estrazioni più disparate. Cosa ancor più importante, non si è quasi mai trattato di semplici omaggi verso un artista evidentemente apprezzato, bensì di utilizzarne il suono come base di partenza per elaborare i propri spunti. Giusto per citare gli episodi più noti, “Metal†è stata riproposta da Afrika Bambaataa e dai Nine Inch Nails, i Fear Factory hanno riletto “Cars†in chiave metal, ancora “Cars†ha fatto da base per “Koochy†di Armand van Helden, e allo stesso modo i Basement Jaxx hanno utilizzato “M.E.â€, dando vita a uno dei loro più grandi hit, “Where’s Your Head At?”: il fatto che i brani di questo disco siano risultati appetibili tanto ai pionieri dell’hip-hop nei primi anni Ottanta quanto ai musicisti metal più sperimentali del decennio successivo, passando per alcuni fra i più influenti produttori house, spiega meglio di qualsiasi analisi critica quanto la proposta di Numan fosse universale, plasmabile, capace di resistere all’usura del tempo.
Siamo al rush finale: il 1980 è l’anno che chiude il periodo artisticamente aureo di Gary Numan. Il canto del cigno è però particolarmente intenso, grazie a due singoli sublimi. Il primo è “We Are Glass†(#5 in GB), che esce in maggio e torna a utilizzare le chitarre: deformate da una dose massiccia di flanger, confluiscono nel flusso delle tastiere per formare un amalgama più futuristico che mai. Il lato B è occupato da un commovente arrangiamento elettronico del primo movimento delle “Trois Gymnopedies†di Erik Satie.
“I Die: You Die†(#6 in GB) esce in agosto e si impone fra i migliori singoli della corrente new-romantic, che proprio in quel periodo inizia a imporsi a livello commerciale e vede lo stesso Numan fra i padri fondatori. Il brano – il cui gioco di specchi del titolo sublima una volta per tutte l’estetica dell’artista – si apre e chiude con un fascinoso tema di pianoforte, sorretto da hand-clapping e ricami di flanger, mentre la canzone vera e propria si riduce ai due minuti della parte centrale, e vede un Numan impetuoso cantare versi indecifrabili, eppure densi di fisicità : “They crawl out of their holes for me, And I die: you die, Hear them laugh and watch them turn on me, And I die: you die, They call me such things, tear me, tear me, tear me.†Sul lato B una rilettura strumentale per solo pianoforte di “Down In The Parkâ€.
Dobbiamo a questo punto aprire una parentesi. Nel 1980 la fama di Gary Numan è all’apice. Dal vivo attira folle oceaniche e i suoi dischi schizzano in classifica con una velocità per l’epoca inusuale: ciononostante, all’infuori del proprio target il personaggio comincia a risultare poco digeribile. Numan non ha dimestichezza con la stampa, non ama rilasciare interviste, i suoi modi schivi e il suo mood alienato risultano poco spontanei, e in breve si ritrova contro tutte le testate del Regno Unito, che stroncano ogni sua uscita, troppo cieche nel proprio ottuso orgoglio per cogliere l’espressione di un genio. Incredibilmente, forse non gradendo che qualcuno avesse raccolto una tale mole di successo agendo nella medesima direzione, lo stesso David Bowie inizia a rilasciare dichiarazioni poco lusinghiere su Numan: un atteggiamento ostracista che culminerà nel rifiuto di condividere la stessa puntata del Kenny Everett Show. Se a tutt’oggi Numan è considerato uno dei musicisti più visionari della sua generazione bisogna probabilmente ringraziare la memoria collettiva, che ha ancora impresse hit colossali quali “Are Friends Electric?†e “Carsâ€, e l’enorme quantità di musicisti che ne hanno assorbito le idee: la tanto sedicente stampa specializzata avrebbe invece lasciato sprofondare un simile pioniere nelle sabbie del tempo. Ci siamo permessi questa digressione per spiegare come mai sia così difficile rintracciare Numan all’interno delle retrospettive sul new-romantic, pur essendo palese la sua enorme influenza sul movimento, a partire dal look, dominato da abiti in pelle lucida e eyeliner.Â
Nel settembre dello stesso anno esce il quarto album, “Telekon†(****), che pur non comprendendo i due singoli che lo hanno preceduto non fatica a raggiungere il primo posto della classifica inglese. Ammorbidite le intuizioni di “The Pleasure Principleâ€, il disco continua a far uso sia della batteria tradizionale, sia di quella elettronica, ma sostituisce i suoni più aspri di quest’ultima con l’hand-clapping, e conferma il ritorno in pianta stabile delle chitarre. La qualità media rimane comunque alta, fra l’aristocratico mid-tempo di “This Wreckage†e il mix archi-tastiere di “The Joy Circuitâ€. C’è spazio per un solo pezzo davvero insolito: “Remind Me To Smile” (con la collaborazione dei Simple Minds), che aggiunge alla ricetta percussioni dal suono esotico e bizzarre chitarrine funky.Â
Inizia quindi il ‘Teletour’, caratterizzato da una scenografia colossale, trionfo di luci e geometrie dai toni sci-fi. Lo spettacolo offerto è davvero suggestivo: sul palco insieme a Numan troviamo gli Shock, gruppi di mimi e ballerini, e una backing-band particolarmente affiatata, con Gardiner ormai eroinomane ma al top della forma come strumentista e gli archi affidati a Nash The Slash. Il tour prosegue fino all’aprile 1981, quando Numan decide improvvisamente di ritirarsi, dando l’addio al pubblico con tre concerti sold-out all’Arena di Wembley.
Nel maggio 1981 esce il live “Living Ornaments ‘79 and ‘80†(****): registrato durante il tour di “The Pleasure Principleâ€, raggiunge il numero 2 in GB e si presume ponga sigillo alla carriera dell’artista. Siamo invece appena in settembre quando viene pubblicato un nuovo album, “Dance†(***½). Il finto addio sembra non essere stato gradito dal grande pubblico: il disco arriva sì al numero 3 in GB grazie al fronte dei numanoidi, ma non ha alcun impatto sulla massa e esce dalla top-40 in poco più di un mese, notevole passo indietro rispetto ai tre precedenti lavori in studio. “Dance†segna una lieve svolta nel sound, in favore della nuova tendenza che Paul Morley avrebbe indicato come new-pop. Oltre a Gardiner, al basso troviamo Mick Karn dei Japan, che caratterizza diversi brani con le sue tipiche evoluzioni. La lunghezza delle canzoni aumenta e diversi tratti rimangono impressi più per le soluzioni ritmiche (a tratti vicine alla black-music) che per le melodie, le quali risultano diluite e poco efficaci. Per quanto interessante e coraggioso, non è un disco capace di competere con il passato recente dell’artista, e contiene un solo classico, “She’s Got Claws†(#6 in GB fra i singoli).Â
Il resto della discografia andrà da qui in poi appiattendosi, parallelamente a un calo verticale di popolarità …il 1982 gli concederà gli ultimi ingressi nella top-10 britannica sia fra i singoli (“We Take Misteryâ€, #9), sia fra gli album (“I, Assassinâ€, #8). Riguardo all’evoluzione artistica non c’è molto da dire: il Nostro rimane un po’ prigioniero della propria formula, cerca di volta in volta di aggiornarla, misurandosi negli anni Novanta persino con trip-hop e industrial, ma sfornando dischi ripetitivi e produzioni non più brillanti come un tempo. Per ironia della sorte, Numan non è riuscito a mantenersi al passo con correnti artistiche che hanno ripescato avidamente i suoni da egli stesso inventati fra il 1978 e il 1980.Â
Poco male: con una manciata di singoli e un paio di album epocali, nonché un immaginario personale complesso come pochi, Numan lascia in eredità un patrimonio artistico fra i più preziosi di tutta la new-wave, e a dire il vero di tutta la storia del rock. Il suo testamento risulta passaggio obbligatorio per chiunque intenda capire cosa abbia portato da David Bowie ai Nine Inch Nails, o per chi voglia rendersi conto di quanto la potenza letteraria del pop-rock non sia rintracciabile soltanto nei cantautori classici, come spesso erroneamente si crede.
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