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No Line On The Horizon
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Trent’anni fa, correva l’anno 1988, gli U2 nell’albumRattle and Hum rispondevano così ad un giornalista che chiedeva loro cosa significasse quel progetto (tournée negli USA, un film, un disco live e nuove canzoni nate nella terra di Elvis): “well…it was a musical journeyâ€.
Con l’uscita del loro dodicesimo album, No Line On The Horizon, questo loro viaggio pare abbia trovato un approdo. Nel frattempo la band di Dublino è passata da Berlino dopo il crollo del muro e ha sfornato Achtung Baby e Zooropa, si è data al Pop più sfrenato, ha cercato un equilibrio un po’ altalenante con gli ultimi due album, All that you can’t leave behind e il decisamente più riuscito How to dismantle… del 2004. Le voci che si sono rincorse in questi ultimi cinque anni sulle sorti del gruppo sono state le più varie. Intanto Bono e soci hanno avuto tempo di fare un lungo tour sfociato al cinema con un film in 3D e hanno alimentato le voci con soffiate qua e là su “suoni innovativiâ€, “palchi rotanti†e altre amenità che funzionano alla grande quando stai per lanciarti in un nuovo progetto. Progetto che ha avuto una vita produttiva assai complicata. La band entra in studio con Rick Rubin e poi lo licenzia perché il risultato e l’affiatamento non era adeguato alla loro attuale ispirazione, comincia a viaggiare per il mondo alla ricerca di voci e suoni e li trova a Fez in Marocco, ritrova i “tre moschettieri†Brian Eno, Daniel Lanois e Flood al reparto macchine e posticipa più volte l’uscita del disco. No Line On The Horizon ha decisamente una gestazione complicata e lunga e in giro comincia a serpeggiare il dubbio che i quattro di Dublino abbiano perso il loro smalto e stiano per uscire con un disco raffazzonato, che non funzionerà e che affosserà definitivamente la loro immagine. Da principio anche conAchtung Baby andò così. Quando Bono disse che sarebbe stato un album “more disco oriented†furono parecchi a storcere il naso. Poi sappiamo bene come andò a finire.
Il risultato di questi anni passati fra studi, viaggi e tournée, possiamo dirlo dopo l’ascolto dell’intera opera e non dagli stralci di 30 secondi che in rete circolavano ormai da due settimane, va ben oltre le più rosee aspettative.
La versione che abbiamo testato è quella deluxe: cd in versione digipack, librone fotografico con intervista alla banda, poster e dvd con un documentario girato da Anton Corbjin e musicato dal gruppo (in aggiunta agli undici brani dell’album nel dvd si trova una dodicesima traccia dal titolo Winter). L’intero pacco rende maggiormente l’idea del viaggio compiuto dalla band. Si intuisce quanto dietro al disco ci sia un percorso che ognuno di loro ha compiuto per sé e con gli altri, si percepisce e respira un atmosfera che va oltre il risultato musicale trasformando quell’ora di ascolto in un’esperienza sensoriale a tutto tondo. Il disco sembra essere diviso in tre parti. Si comincia con una lunga cavalcata nelle vecchie atmosfere dei Dubliners. Si torna dalle parti di Unforgettable fire, di Achtung baby, si torna alle luci al neon delle notti di Tokyo e Berlino, alle lunghe ore di veglia per le strade delle metropoli americane. Sono quattro canzoni, da No Line On The Horizon a Magnificent, da Moment of Surrender a Unknown Caller, in cui il basso e la batteria salgono decisamente sugli scudi (quanto sia diventato grande Adam Clayton lo si capisce dall’incalzare della quarta traccia, il suo basso diventa un cuore pulsante a cui quello dell’ascoltatore si adatta) e la chitarra di The Edge dipinge come sa delle campiture sonore indimenticabili. La quinta traccia apre un nuovo scenario. Il gruppo scatena la propria anima rock, tornano ai loro primi anni trascorsi sui palchi polverosi di mezza Europa, quando suonavano I Will Follow e Two Hearts Beat as One. Ma qui, in produzione, ci sono i tre signori che hanno regalato tante soddisfazioni ai fan del gruppo. Eno e Lanois ci mettono del loro e così I’ll Go Crazy If I don’t Go Crazy Tonight, Get On Your Boots e Stand Up Comedy ricevono delle spallate elettriche e si trasformano in tre schiacciasassi. Impossibile stare fermi mentre la prima delle tre si inerpica in un bridge di chiara marca U2 e quando parte il singolo, che all’ascolto solitario può dare qualche perplessità , ecco che i piedi capiscono esattamente dove devono andare e quando devono battere il tempo. Il disco, dopo il terzetto di movimento, prende una sterzata bruschissima, quasi dolorosa e straziante. Il gruppo si sposta a Fez, in un caos di suoni elettronici, di voci disperse nel vento, con il basso di Clayton che diventa preponderante e fende l’aria con colpi che arrivano direttamente allo stomaco. E al secondo stacco parte Being Born, in cui Bono si lancia a raccontare il viaggio di un uomo che scende verso l’Africa per ritrovare il proprio amore perduto. Forse la propria origine. E qui, l’ascoltatore, ha finalmente la percezione che la “linea dell’orizzonte che non c’è†sta nella frattura fra l’Africa, grande madre dell’umanità , e l’Europa, culla in cui l’uomo si è adagiato per crescere. Ma capisce anche che per il gruppo l’urgenza è che, ora, quella frattura si saldi.
Tre pezzi alla fine e il viaggio diventa interiore. White as Snow, da una ballata tradizionale riarrangiata e riscritta, e Breathe sono un sognante preludio all’uscita dall’album, rappresentata dalla lenta circolarità di Cedars Of Lebanon, che è al contempo un grido di speranza ed un doloroso addio.
Decidere un pezzo sopra tutti non è possibile, questo NLOTH è un viaggio in cui le tappe sono parte essenziale del tutto. Sarebbe come pretendere che un certo chilometro sia stato meglio di quelli che l’hanno preceduto o seguito. In alcuni brani è la voce di Bono a rendere il passaggio particolarmente affascinante (geniale l’uso che ne fa in I’ll Go Crazy…), in altri è un particolare suono della chitarra di The Edge ad attirare l’attenzione (Moment of Surrender), in altri ancora sono i ritmi a tratti forsennati a tratti cardiaci della batteria di Mullen Jr. Sopra tutto, però, c’è la sensazione che in questo album Adam Clayton sia riuscito a trovare quello che sta cercando da quasi quarant’anni. Una volta fu l’intro di With or without you, un’altra volta fu il tappeto per One. Qui è un continuo, incessante, monumentale ripensare al proprio ruolo all’interno della band, sorreggendo da solo l’intera struttura della canzone.
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http://www.sabatoseraonline.it/home_ssol.php?site=1&n=articles&category_id=15&article_id=115650&l=it
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7 users responded in this post
ma buzz li stai sentendo live dalla bbc via web radio? stan suonando magnificent…
http://www.bbc.co.uk/iplayer/console/radio2
in formissima!
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VERTIGOOOOO
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ciao b16 ,sentiti si,tutto,bello ,improvvisato credo……mi accontento,Bono un pochino giu’ di voce ma ora sono sotto stress,ma poi passa e si esaltano………bello,credo come a Los Angeles e a New York,ciaoooooooooo rock on
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Condivido in pieno le considerazioni di Alexdelarge: e’ un disco bellissimo (sicuramente meglio degli ultimi due).Non per fare classifiche tra i pezzi ma:
– Moment of surrender e’ grandiosa
– Unknown caller e Fez sono le piu’ “interessanti”
– le note negative sono il singolo che sembra forse fuori posto in questo album e I’ll go crazy … che credo sia la meno riuscita (potrebbe starci tranquillamente in All that you can’t leave behind)
Comunque ripeto: u2 in grandissima forma
E allora rock on
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ciao romytn,vero son tornati alla grande,aspettiamo il tour,rock on!
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gli orizzonti sono limiti
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oltre ai quali a volte si puo’ vedere o sentire,ma a volte,saluti anche all’Alto Adige dall’Emilia,la cuoca della mia trattoria preferita:-)
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