E COSI’ ANCHE NOI,CHE NON NE SENTIVAMO LA MANCANZA ASSOLUTAMENTE,SIAMO AGGIORNATI PER PRIMI……IL SOLITO TRASH,LA SOLITA VERGOGNA……
Abbiamo ascoltanto le canzioni in gara nella categoria dei big
Il meglio lo offrono Malika Ayane, Irene Grandi, Morgan e Ruggeri
Ecco i brani di Sanremo 2010
squarci di realtà e di qualitÃ
di GINO CASTALDO
Ascoltando le canzoni in gara nella categoria dei big del prossimo festival di Sanremo, si nota subito una curiosa ricorrenza. Facendo la tara, e ricordando sempre che stiamo parlando di Sanremo, ovvero di una zona a parte dell’universo musicale, emerge una qualche attenzione al mondo che c’è intorno. Da deridere, innanzitutto, con “Meno male” di Cristicchi, un pezzo che fa il verso a Rino Gaetano con rime e ironie corrosive. Da protestare, con la rabbia “working class” di Fabrizio Moro, cupo e furente con il tocco reggae di “Non è una canzone”. Oppure da piangere (“Il mondo piange” di Irene Fornaciari con i Nomadi), e perfino da salvare, ovviamente con l’amore, e nel disperato tentativo si cimenta addirittura la candida Arisa con la allegra filastrocca intitolata “Malamorenò”. Mischiandole, verrebbe fuori un quadretto devastante: scoppierà il sole, il mondo piange ma può risorgere, è tutta una galera, ma meno male che c’è Carla Bruni.
Cosa aspettarsi? Il festival per definizione è un calderone che avrebbe la presunzione di contenere tutte le possibili italie musicali, e poi si riduce di solito a contenerne gli scarti, con qualche fulgida eccezione, di tanto in tanto. Partiamo dal meglio, per una volta. Fascino, eleganza e qualità saranno garantiti per certo da due canzoni, ambedue cantate da voci femminili: Malika Ayane fa addirittura a meno del ritornello nella sua “Ricomincio da qui”, elusiva, eterea, bellissima. Irene Grandi torna a vendicare la clamorosa esclusione di “Brucia la città ” (nel 2007) presentandosi con il medesimo autore, l’ispiratissimo Francesco Bianconi di Baustelle che questa volta ha inventato un agrodolce addio d’amore incorniciato da “La cometa di Halley”. Due perle. Alle quali va aggiunta quella che sarà la sorpresa più clamorosa di tutta la manifestazione ovvero Morgan che ha prodotto “La sera”, un pezzo complesso e magnifico, totalmente fuori registro dai cliché abituali, una sorta di opera in terzinato che ricorda il sinfonismo di Bindi. Una vera pazzia ma non priva di un suo decadente e perverso fascino. Buono anche il pezzo di Enrico Ruggeri, “La notte delle fate”, che va iscritto in quella speciale lista di pezzi che centrano mirabilmente aspetti della sensibilità femminile di cui Ruggeri aveva già dato prova (vedi “Mare d’inverno” e “Quello che le donne non dicono”).
Ma ovviamente non si può gioire più di tanto. A qualche sparuto tentativo di qualità deve per forza corrispondere un contrappeso micidiale e senza sconti. Povia, ormai abbonato al sensazionalismo da festival, si produrrà in un racconto su Eluana Englaro (gli rimangono l’aborto, la pedofilia e il divorzio per le prossime edizioni). Toto Cutugno ci mette del suo ma, va detto, con grande dignità . A pesare è soprattutto il suo passato. Pupo, il principe Emanuele Filiberto e il tenorino Luca Canonici delizieranno i trashologhi con la loro lettera d’amore a voci spiegate dedicata alla nostra Italia (tanto per ricordare antichi fasti alla Reitano).
L’altra Italia, quella dei dialetti, dopo tanto discutere e sollevare polemiche da parte di leghisti e protettori del folklore, avrà un unico rappresentante, ovvero Nino D’Angelo che questa volta ha prodotto un vero inno di sapore etnico alla condizione meridionale. Bello e vitale.
Dulcis in fundo i talent-boys ovvero quelli che provengono dagli show televisivi. Mengoni, che arriva di diritto come vincitore di X Factor presenta una canzone imbarazzante. Valerio Scanu è uno che sembra uscito da quelle melodie indistinte che si facevano per i Sanremo minori degli anni Settanta. Ancora una volta giovani che sembrano più vecchi non solo dei loro zii, ma anche dei loro nonni. Si salva, e di molte spanne, Noemi, l’unica tra questi presunti big, inseriti nella lista con discutibile forzatura, a portare una canzone degna di questa nome, “Per tutta la vita”, e per di più cantata con originalità . Per chiudere i Sonhora, quelli con l'”h”, che hanno almeno il merito di aver stimolato una delle migliori parodie festivaliere a opera di Elio e le Storie Tese, e che quest’anno portano l’unica vera canzone d’amore in chiave pop, moderna quanto basta, ma inguaribilmente innocua. E senza “h”.
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