Dopo anni di attesa, dopo prove dubbie quali Corazon Espinado, che ha espinado il cuore a tutti, ecco ritrovare il vero Carlos Santana, con i suoi antichi sounds da noi tutti amati.
Infatti questo suo nuovo disco ripropone, in parte, ciò che ha reso grande nel mondo il musicista messicano. Già il primo brano Shape Shifter, che dà il titolo al lavoro intero, reca con sé gli echi della chitarra conosciuta da tutti: rock, ritmo e… organo Hammond. Un profluvio di vecchio stile.
La seconda traccia, Dom, lascia più perplessi. Un film malriuscito di Peter Greenaway con uno scocciato Michael Nyman? O Philip Glass in pensione dopo koyaanisqatsi?
Il terzo brano, Nomad, torna duro e puro: Ancora Hammond, riffs di tre note alla chitarra (ultra distorta) e una monumentale batteria. Molto bene.
Poi tutto si consuma. Intrusioni negli anni ’80 con tastiere che già furono imbarazzanti per il Miles Davis di Time After Time: un mix tra Lucio Dalla e i Duran Duran; e sentimentalismi fin troppo gratuiti; ed un brano sopraffatto da un evidente pianoforte digitale che pare uscito da una balera di Rimini. Per infine riscattarsi grazie ad una vertiginosa salsa.
Forse persino Carlos vive la crisi economica; poiché risulta strano che uno del suo livello si accontenti di tante evidenti ingenuità. Non è sufficiente la sua chitarra a giustificare sempre tutto. E’ forse l’età?
Tuttavia, dei 13 brani presenti nell disco, almeno il primo garantisce grande dignità ai suoi fratelli e bisogna avere grande cuore per suonare così.
Se poi si pensa al Corazon… che fine avevi fatto, o Carlos?
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