Riccardo Bertoncelli ha selezionato gli undici album migliori dell’anno: dai Radiohead a Jonathan Wilson
My Top 11 2011
di Riccardo Bertoncelli
Radiohead “The King Of Limbs”
(www.radiohead.com)
“Le canzoni non sono blocchi imponenti o alti pinnacoli e forse non ci sono più nemmeno ‘canzoni’, almeno come le avremmo dette fino a ieri, e neanche ritornelli, riff, perfino strumenti definiti. All’ascolto sprizzano bolle sonore trasparenti, colorate gelatine impalpabili che si depositano sulle orecchie per scivolare dentro, nella mente, nello spirito… Ora venga pure qualcuno a dire che i veri Radiohead sono stati quelli di The Bends o Ok Computer – con musica come questa diventa difficile, molto difficile.”
Paul Simon “So Beautiful Or So What” (Hear Music)
“Un Simon filosofo, che alla soglia dei 70 guarda alla vita con stupore, ironia, accettazione, attento a non cedere al pessimismo ma nemmeno a levare lo sguardo. Ha affinato la vista, vuole andare oltre le apparenze: vuole vedere angeli a Brooklyn, tra i derelitti, e interrogarli sui mali del mondo (Questions For The Angels, una meraviglia), vuole immaginarsi un aldilà buffo e colorito come quello di The Afterlife, e accettare il Dio potente ed elusivo di Love And Hard Times, e arrendersi all’Amore, tutto maiuscolo, che come vuole un altro brano emozionante è una Eternal Sacred Light, ‘libera dalle catene del tempo’, unico antidoto al Male.”
Eddie Vedder “Ukulele Songs” (Monkeywrench/Island)
“Sedici canzoni brevi o molto brevi che Vedder tratteggia quasi sempre in solitudine, la sua voce e il frinire dell’ukulele, con minimi interventi esterni. Via l’astuccio degli oli o delle tempere, qui si lavora di matita o, meglio, di gessetto; il madonnaro Eddie disegna sul marciapiede della mente canzoni sue e cover non troppo famose, con gesto rapido e l’esplicita voglia di scoprire un lato sconosciuto di sé. Un esercizio di flessibilità vocale e adattabilità compositiva con una voce che è un portento – un diamante grezzo che piace anche e soprattutto quando la luce si riflette obliqua.”
The Antlers “Burst Apart” (Transgressive)
“Chitarre temperate e tremolanti, sciabordio di percussioni, accurati intarsi di soft noise e sopra a tutto la meravigliosa voce di Jim Sielberman, con le sue pene distillate in oro, argento, sogni.
Uno dei più bravi cantanti autori della sua generazione, con fragili profili di canzone che finiscono per catturarti, da qualche parte tra l’ebbrezza di un Jeff Buckley e il voluttuoso miele scuro dei Blue Nile.”
John Zorn “Interzone” (Tzadik)
“Un omaggio a Brion Gysin e William Burroughs e alla loro tecnica del cut up, incandescenti tizzoni di musica tagliata e rimontata perché ‘i tagli stabiliscono nuove connessioni fra le immagini, e la portata della personale visione aumenta di conseguenza’. Un’utopia e una divinazione: ‘quando tagli il presente, appare il futuro’.”
Ry Cooder “Pull Up Some Dust And Sit Down” (Nonesuch)
“Una macchina ibrida che va a nostalgia e indignazione, con una formula musicale di blues, rockabilly, Tex Mex, reggae, protesta sociale, bei ricordi, misantropia. Storie sarcastiche, topical songs, pregevoli visioni. Il più bell’album di Ry Cooder dai suoi memorabili anni ’70.”
The Joy Formidable “The Big Roar” (Canvasback)
“Come uscire vivi da un titolo molto impegnativo e marchiare la scena rock in prospettiva per i prossimi mesi (anni?). Il primo album dei Joy Formidable è un possente ruggito, uno sfogo che sprigiona energia e prende la via più semplice e naturale del rock: musica di liberazione, urlo di gioia, curiosità, determinazione.”
Richard Galliano “Nino Rota” (Deutsche Grammophon)
“Dice bene Galliano nelle note che ‘era un progetto delicato, di quelli che facilmente possono andare storti’. Il rischio erano la banalità o la presunzione, il toccare troppo la materia anche solo per entusiasmo. Invece la scelta felice di “suoni semplici, qualcosa di molto vero e non sofisticato, che rendesse giustizia agli originali” senza staccarsene troppo.”
Vinicio Capossela “Marinai, profeti e balene” (La Cupa – WEA)
“Il solito Capossela, che Nettuno lo benedica: curioso, appassionato, invadente, smisurato. Questa volta lascia la terra del Minotauro e del circo per navigare le acque e approntare una sua “Marina Commedia” che per ricchezza di temi e suggestioni non può essere piccola e tascabile ma esagerata, Ciclope-dica: un album doppio (‘uno oceanico, l’altro omerico’) lungo un’ora e mezzo, un disco ‘epico, antropologico, mutevole all’ascolto come mutevole è il mare’, per usare le parole del Capitano.
Laura Marling “A Creature I Don’t Know” (V2)
“Intensi soliloqui e scoppi di energia con la band, visioni di folk antico come una piccola Baez o Shirley Collins e passaggi in cui si rivela indovinato il giudizio di chi l’ha definita ‘un Damien Rice al femminile’. Ma basta con i riferimenti, questo CD è un esame di maturità superato e una porta che si schiude per canzoni ‘alla Laura Marling’.
Jonathan Wilson “Gentle Spirit” (Bella Union)
“Prendi la canoa della tua mente, scivoli per le acque chete di un disco lungo ma non affaticante, e tra gli spruzzi di chitarra e i luminosi vapori di tastiere ed elettronica gentile intravvedi un mondo favoloso che ti chiama con il canto delle sirene: Crosby, Stills & Nash, i Pink Floyd, i Led Zeppelin del terzo LP, Neil Young con i Crazy Horse, gli Spirit di Randy California. Detesti la nostalgia però ti vengono dei dubbi: perché no?”
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