Se c’è un album che racchiude esemplarmente il mito della “scuola di Canterbury”, è senza dubbio il terzo LP dei Caravan, In The Land Of Grey & Pink, apice della loro agitata carriera abbastanza nell’ombra e opera tra le più rinomate della scena Brit dei primi 70 – da accostare con molta cautela, please, al cosiddetto Progressive. Ho parlato di mito perché quello è indiscusso mentre tutto il resto è controverso, a cominciare dall’esistenza di una vera e propria “scuola” a Canterbury: e in effetti il comune denominatore tra Soft Machine, Matching Mole, Caravan, Gong, Khan è più che altro un atteggiamento, un gusto, la voglia di uscire dai ranghi e di esplorare patafisicamente la realtà circostante, con stili e umori diversi.
Lo stile dei Caravan era una aggraziata psichedelia gentile, una bolla di gas esilarante pop jazz rock che ancora non si era ben formata al debutto mentre già si profilava bene ai tempi del secondo If I Could Do It All Over. Il terzo album vide la bolla al massimo dell’espansione, lieve, colorata, trasparente, in moto oscillatorio verso una terra di fantasia che il titolo e la copertina di Anne Marie Anderson rendevano benissimo. Canterbury non era una banale cittadina del Kent, in Gran Bretagna, ma la capitale di quella utopica terra di castelli, laghetti, fiori, montagne; e i colori erano perfetti, l’organo di David Sinclair, le chitarre e voci di suo cugino Richard e Pye Hastings, i flauto e piccolo dell’ospite Jimmy Hastings brillavano davvero nella mente di chi ascoltava con riflessi grigio e rosa.
Nelle note originali all’album i Caravan rievocavano i loro inizi e ricordavano il duro anno di prove e prove a Whistable, nei dintorni di Canterbury, a mettere a fuoco le idee e a cementare la loro unione. Quel faticoso allenamento portò ottimi frutti, perché una volta usciti dal guscio i quattro si sobbarcarono con disinvoltura ritmi massacranti. Il secondo LP fu registrato nella primavera 1970 e pubblicato a settembre, dopo un’estate di concerti per tutta Europa, e in autunno il gruppo era già pronto per un terzo sforzo. La formazione era la stessa (i due Sinclair, Pye Hastings e Richard Coughlan) ma c’era la novità di un produttore esterno, David Hitchcock, e soprattutto cambiavano le gerarchie compisitive; anche se i primi pezzi erano firmati sempre collettivamente, il vero artefice era Pye Hastings, che per la terza prova cedette il passo ai più prolifici cugini Sinclair.
Fu forse per quello che la musica prese una colorazione e una densità ancora più vaga, tra la fiaba e il sogno a occhi aperti dopo una generosa dose di fumo. Golf Girl iniziava il disco con toni circensi, raccontando la storia vera di un amore di Richard Sinclair senza smancerie e con il piglio nonchalante di un Kevin Ayers; Winter Wine proseguiva con la formula preferita della ballata da menestrello tramutata in rapido volo jazz rock; e poi ancora Love To Love You (unico contributo di Hastings) e In The Land Of Grey & Pink con tutto un arcobaleno di giochi, allusioni, con un pigro canto da fratellini di Ray Davies e il gusto asprigno dell’organo Vox. La seconda facciata era ancora più memorabile. Erano quattro pezzi legati in un fluido unicum oltre i 22 minuti, Nine Feet Underground, dove si squadernava tutta la sapienza strumentale della band e si titillavano i sensi degli ascoltatori con la grazia di cui i quattro erano maestri, dalla loro nuvoletta situata “in un indefinito luogo tra un prato d’Inghilterra e il cosmo profondo”.
In The Land Of Grey & Pink uscì nell’aprile del 1971 e non scattò nelle zone alte delle classifiche ma seguì il corso di quella pigra trasognata musica; diventò uno sleeper, come si dice in gergo di quegli album mai troppo venduti ma regolarmente in catalogo, sempre ricercati, capaci di attirare per cerchi in espansione nuovi ascoltatori. Purtroppo Dave Sinclair non ebbe pazienza e prima che l’estate finisse annunciò il suo abbandono, tentato dalla sirena dei Matching Mole dell’amico Wyatt. Gli subentrò Steve Miller e vennero ancora un paio di ottimi dischi, Waterloo Lily e For Girls Who Plump, ma nessun dubbio che il vertice fosse stato toccato e che i nuovi territori avvistati non avessero la magia e il colore della Land. “Il fatto è che con il passar del tempo,” ha chiosato saggiamente Richard Sinclair, “ci trovammo sempre meno a sballare e a suonare insieme, e un po’ per volta i Caravan assunsero le sembianze di una band normale; che va in giro a suonare e incide dischi anche piacevoli ma non ha più niente di davvero speciale.”
In The Land Of Grey & Pink era già stato rimasterizzato e arricchito ai tempi del trentennale, nel 2001, e onorato più recentemente nel cofanetto quadruplo dedicato ai Caravan. Qualcosa era però rimasto negli archivi e per i quarant’anni ecco una nuova edizione con un paio di versioni inedite di I Doesn’t Take A Lot e Nigel Blows A Tune, cinque registrazioni BBC e due video del giugno 1971 per il programma tedesco “Beat Club”, uno dei quali inedito. Ma il pezzo forte della nuova edizione non sono queste briciole d’autore bensì la nuova rimasterizzazione in digitale curata da Paschal Byrne e da Steven Wilson, che dopo i King Crimson ha preso di mira un altro dei suoi gruppi preferiti e sta emergendo come il massimo esperto remixer di album anni 70. A Wilson si deve anche un puntiglioso restauro in 5.1 Surround Sound e un nuovo mix Stereo che vanno a occupare buona parte del DVD.
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