Quand’ero più giovane, coltivavo il mio vizio discografico con rituali vinilici che ricorrevano soprattutto nelle ultime settimane dell’anno. Facevo quaresima d’autunno e poi concentravo gli acquisti sotto Natale, quando mi concedevo splendide mattinate nel retrobottega di un amico negoziante spulciando perle rare e scegliendo con gioia. Poi impacchettavo il tutto accuratamente e me lo facevo trovare sotto l’albero la mattina del 25 dicembre; una spudorata finta, sissignori!, e ogni tanto aggiungevo perfino un bigliettino d’auguri ego-personalizzato.
Ricordando quei giorni, la rubrica delle recensioni di questo mese è studiata per consigliare (auto)doni di quel genere, specie nel campo degli “oggetti discografici di pregio”. Alla salute, naturalmente, di chi scarica musica via computer e non saprà mai quanto è inebriante il profumo del vinile, e non immagina la bellezza del rituale che dicevo prima – svegliarsi la mattina di Natale e, complice la sbronza della sera prima, domandarsi: “Cosa mi sono regalato questa volta?”.
Miles Davis – Bitches Brew 40th Anniversary
(Columbia, 3CD + 2LP + DVD)
Gli appassionati avevano già in collezione un lussuoso cofanetto edito anni fa con tutti i nastri di Bitches Brew, il disco della svolta elettrica di Miles. Questa non è la replica, attenzione!, e volendo è meno completo di quello. Però è un meraviglioso scrigno a forma di vecchio cofanetto di vinile che comprende la ristampa del doppio originale, due CD con i sei pezzi-base e qualche bonus, un altro CD con la registrazione di un concerto al Tanglewood Berkshire Music Center del 1970 e un DVD con le immagini di uno show a Copenhagen del novembre 1969. I due live non solo sono inediti ma valgono, anche perchè Miles presenta il nuovo album in scena facendogli spazio nel suo grande catalogo, aprendo qua e là parentesi con pezzi del passato.
Confezione bellissima, degna dell’altro cofanetto Davisiano di qualche tempo orsono, dedicato a Kind Of Blue. Un ricco fascicolo di note e memorabilia serve a mettere in risalto anche il lavoro grafico di Abdul Mati Klarwein, il visionario illustratore che disegnò non solo la copertina di Bitches Brew ma anche quella di Live/Evil, sempre per Miles, e di Abraxas per Santana.
Dexy’s Midnight Runners – Searching For The Young Soul Rebels
(EMI, 2CD)
Anche se il nome dei Dexy’s Midnight Runners è riportato in piccolo nelle storie del rock britannico, il loro primo album continua a essere oggetto di interesse e culto; si spiega così questa ricca “edizione del trentennale” che espande sulla distanza di due CD quella già uscita per i vent’anni.
I Dexy’s ebbero vita breve e agitata nella Gran Bretagna della new wave, con un incessante via vai di musicisti intorno al leader Kevin Rowland. Provinciali di Birmingham, avevano un che dei Clash anche per via del manager, Bernie Rhodes, ma più che altro erano mod di nuova generazione, con grinta Small Faces e amore amore amore per il rhythm and blues con fiati dei complessi anni 60. Non a caso il brano clou dell’album e primo hit in classifica, Geno, era un inno a un venerabile maestro della musica nera in terra britannica, Geno Washington, leader della Ram Jam Band; un delizioso soul reggae carico dell’intensità e dell’energia che gli ormoni della band sapevano sprigionare, con la voce struggente di Rowland, il drive sornione della sezione ritmica e la pompa dei fiati a dettare i diversi tempi di gioco, gli stop and go di quella canzone e in generale di tutto il repertorio. La formula brilla anche in altri pezzi del disco: There There My Dear per esempio, il secondo singolo sempre fortunato, Seven Days Too Long, l’unico non originale del lotto, e Thankfully Not Living In Yorkshire It Doesn’t Apply, curioso scherzo in falsetto in cui i Dexy’s provano a mettere in pratica la loro regola numero uno – come essere buoni esecutori pur dichiarandosi anti musicisti.
Undici i brani dell’originale, qui circoscritti al primo CD. Nel secondo il repertorio raddoppia e quasi triplica, con avanzi di studio, alternate mix e nastri da trasmissioni BBC con John Peel e Kid Jensen. I bonus più preziosi sono cinque demo prima d’ora inediti, con versioni grezze di brani poi incisi ma anche una Hold On, I’m Comin’ di Sam & Dave.
The Who – Live At Leeds 40th Anniversary
(Track, 4CD + LP)
Un luogo sacro della storia rock non solo Who. Nel febbraio 1970, nel refettorio dell’università di Leeds, in Inghilterra, i Who tennero un memorabile concerto con un travolgente mix della loro opera più recente, Tommy, più vecchi classici dei giorni beat e fiammeggianti versioni di pezzi blues e rock&roll dei loro anni formativi. Il giorno dopo replicarono a Hull, non troppo distante, * con una squadra di tecnici al seguito per registrare un disco dal vivo. Siccome il concerto di Leeds era andato benone, si usarono solo quei nastri e lo spettacolo di Hull finì nel profondo degli archivi; e siccome i discografici dell’epoca erano pavidi e zucconi, di quella meraviglia uscì solo una timida selezione, giusto sei brani e 45 minuti, quando sarebbe stato logico anzi doveroso un doppio/triplo vinile.
Ad ogni modo, il tempo e la fame di storia rock hanno sistemato le cose. Nel 2001 uscì in 2CD la “Deluxe Edition” di Leeds con tutto il concerto mentre ora è nei negozi questa “Super-Deluxe Collectors’ Edition” del quarantennale che riporta alla luce anche lo show di Hull. Confezione splendida, con ricco fascicolo che è quasi un libro, poster e naturalmente replica del mitico vinile (volutamente uscito con la foggia di un disco pirata, con una spartana sleeve in cartoncino e il titolo stampigliato come fosse un timbro). La scaletta dei due concerti è praticamente identica, quindi il gusto è relativo, ma sono i Who, baby, all’apice della loro forza. E poi, non volete trovare qualcuno disposto a ricordare che sì, certo, Leeds fu un mito ma Hull anche meglio? Roger Daltrey per esempio, che giura di avere sempre preferito quello show; “anche se, diciamoci la verità , Live At Hull non sarebbe stato un titolo ma piuttosto uno scioglilingua.”
Artisti vari – Next Stop Is Vietnam
(Bear Family, 13 CD)
Fra i possibili regali di Natale 2010, questo è in tutti i sensi “the Big One”: un monumentale cofanetto di 13 CD (più uno a raccogliere i testi) con oltre 300 canzoni e documenti audio a raccontare la guerra in Vietnam, come venne vissuta in America, come venne cantata, maledetta, sostenuta. E’ una lunga narrazione che parte dal 1961, quando si profila quella strana avventura in un Paese che nessuno conosce (“Mister, Where Is The Vietnam?”), e tocca il 1975, anno dell’ingloriosa fuga americana, per spingersi fino ai giorni nostri, con la drammatica scia dei Veterani, mutilati umiliati ma orgogliosi e pronti a cantare in prima persona le loro storie. I produttori Bill Geerhart e Hugo Kessing hanno fatto un lavoro straordinario, andando non solo a recuperare le più famose canzoni pacifiste di quei tempi, da Eve Of Destruction a Masters Of War, da The Unknown Soldier a Happy Xmas War Is Over, ma indagando l’impatto della guerra in pezzi di pop, country, blues e R&B oggi dimenticatissimi, con una precisione e una cura del dettaglio veramente ammirevoli. Non è solo l’America di Phil Ochs e dei cantautori del Village che urlano la loro protesta e si indignano per gli ideali traditi; è anche il Paese del Sergente Barry Sadler, che va primo in classifica con la sua apologetica Ballad Of Green Berets, e di Connie Francis, di Pat Boone, di tanti patrioti arruolati a cantare il dovere della guerra per liberare il mondo dal nemico comunista. Sul campo delle uscite discografiche di quegli anni si combatte una rude battaglia d’opinione, con songs e answer songs, con bambini che piangono il papà in guerra, fidanzate in attesa che l’amato ritorni, ragazzi che bruciano le cartoline precetto e genitori che scrivono accorate lettere ai figli per spiegare che un vero americano così non fa.
Il box comprende uno splendido libro di storia sociale e musicale, con la sacrosanta prefazione di Country Joe McDonald; che scrisse l’inno più velenoso contro la guerra, I Feel I’m Fixin’ To Die Rag, lo immortalò sul palco di Woodstock e ha passato poi la vita a tenere desto il ricordo di quegli orrori documentando la triste realtà dei Veterani.
The Rolling Stones – Ladies & Gentlemen (Eagle Vision, DVD)
“Charlie Watts sta seduto come un rospo alla sua batteria, Mick Taylor e Bill Wyman suonano in piedi; Keith Richards ciondola qua e là come uno zombie e Jagger è un uccello, un galletto, un cacatua, una ghiandaia.” Su un libro di ricordi rock ho trovato questa esemplare fotografia d’inizio ’70, quando gli Stones erano imperatori degli Stati Uniti e riempivano gli stadi con il loro vizioso circo di rock&roll. Rollin Binzer li catturò in scena nel corso del tour 1972, quello di Exile On Main Street, per un film che non sfruttò il momento magico e quando uscì nei cinema, 1974, ebbe vita stentata- in Italia non credo sia nemmeno mai arrivato. Ora finalmente è stato recuperato, restaurato, arricchito di bonus ed eccolo in DVD; mi verrebbe da dire “nello splendore” (di chissà cosa) ma non lo dico perchè le immagini sono tutt’altro che splendide e glamourous, piuttosto buie invece – gli Stones abitano una penombra carica di minaccia da cui emergono con gli spilli & artigli della loro musica più matura. Non so se fu una scelta o un deficit di mezzi, certo che quel buio è intonato alle canzoni; che non sono più gli inni beat della prima tempesta ormonale ma i tormenti, gli sfoghi, le insolenze da Beggar’s Banquet in avanti, da Jumpin’ Jack Flash a Love In Vain, da Street Fighting Man a Gimme Shelter.
Chi si è goduto la ristampa extended di Exile qui troverà la conferma dal vivo, con l’energia straordinaria di tutti e la stretta al cuore che dà Mick Taylor ancora arcangioletto e ancora ispirato, con la sua chitarra blues che forse per l’ultima volta trova il doveroso spazio. La scena comunque la ruba Jagger, e figuriamoci!, il cacatua che cambia piumaggio tutte le volte che gli gira e, tra bolerini di raso e giacche di lamè, sciarpe, lustrini e occhi bistrati impartisce una convincente lezione di teatro rock riuscendo a riempire sia gli occhi sia le orecchie.
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