Barcellona. L’artiglio affonda nella terra. Squarcia il metallo brunito. Un’ovazione mostruosa, come un tuono, può essere pace o guerra, e gli U2 sono sotto quel tempio con la sua torre arancio che sfrigola sulla cuspide, e le zampe che reggono un mondo intero, il peso di un’altra dimensione. Leggerezza, spiritualità , che l’artiglio libera dalla sua stretta potente. E la luce che inonda le sue chele verdi, punteggiate di dischi arancioni, come impunture su una corazza, saldature opalescenti fra il bene e il male. Così, con l’onda d’urto di una visione ciclopica, che divora il campo da gioco del Nou Camp, nasce il nuovo spettacolo degli U2, che ieri ha esordito in prima mondiale nello stadio bellissimo del Barcellona. Ma gli azulgrana sono i fantasmi di questa battaglia epica del rock, dove tutto è devastante nell’ordine di grandezza, dal palco-artiglio al rapporto con la folla, oltre 90 mila persone, che fronteggia Bono, ascetico, volto scavato, capelli cortissimi, occhiali da biker, giubbottino nero. E con lui, sotto la pancia a bulbo dell’artiglio, un maxi schermo a 360 gradi che amplifica ogni ruga, colore ed espressione di The Edge, Larry Mullen Jr. e Adam Clayton, il fuoco spirituale degli U2 brucia l’aria, la macchina spettacolare supera se stessa per ambiguità . Centocinquanta milioni di dollari per costruire un evento itinerante dal sapore religioso, e subito dopo pagano, impegnato e individualista nel senso dell’amore assoluto.
I soldatini di alabastro, circondati dall’avamposto, alcune migliaia di persone, di fans separati con un gigantesco anello dalla bocca palpitante dei novantamila, saranno anche anche un omaggio a Michael Jackson, con “Angel of Harlemâ€, che diventerà per una manciata di minuti “Don’t Stop ’Til You Get Enoughâ€, e si collegheranno per quella che Bono chiamerà stazione spaziale internazionale, con scienziati che, a quarant’anni dallo sbarco sulla Luna, invitano a difendere il pianeta e le su risorse.
“Ogni giorno muoio, ogni giorno rinasco, e devo trovare il coraggio di camminare per queste strade†canta Bono nella tempestosa “Breathe†che apre lo show, e la sagoma luminescente può sembrare anche una chiesa che la star degli U2, per ovvi motivi di opportunità , cerca di avvicinare alla Sagrada Familia di Gaudì, il simbolo di tutti i tormenti spagnoli per Dio e degli uomini per venerarlo senza paura: «Gaudì la costruì perché la gente potesse pregare, per noi la musica è adorazione». Dipende da quale punto di vista. Tremilioni di anime stanno per accedere a questo rito che li abbraccia tutti: la festa che rimbomba nelle coscienze, il rock che smeriglia i dubbi e le angosce, lo stare insieme per indossare una povera maschera di carta, scaricata da Internet, bucata sugli occhi e sulle orecchie, per indossare tutti l’immagine compunta e senza paura di Aung San Suu Kyi, una donna birmana che ha perso quasi la vita per difendere i diritti della sua gente contro il regime e per aver ricevuto il Nobel per la pace.
Nella scansione drammatica di uno show che brucia in fretta “No Line On the Horizonâ€, la percussiva “Get On Your Bootsâ€, “Magnificent†e “Beautiful Dayâ€, la piccola festa per la piccola donna è quasi nel finale, in una successione di canzoni impegnate come “Prideâ€, “MLK†e appunto “Walk Onâ€: “L’amore non è cosa facile, l’unico bagaglio che puoi portare è ciò che non lascerai mai indietro…â€. Ma gli U2 sono ancora in grado di suonare l’adunata? O questo show che si trasforma minuto per minuto è davvero la summa di tante ambizioni, alcune forse troppo grandi, nel caso di Bono, come risolvere la povertà e l’ingiustizia?
Sicuramente, complice anche la robusta scorta irlandese, sa farsi tenebra e fondere commercio planetario e spiritualità come quando Bono attira su di sé, ingabbiato in un cilindro fantasmagorico, la partecipazione del pubblico per “The Unforgettable Fire†o quando, poco prima, lo ha reso partecipe dell’orgoglio di patria, avvolto nella bandiera irlandese, per cantare “I Still Haven’t Found What I’m Looking Forâ€. C’è, nella parte più popolare della loro musica, una capacità straordinaria di rendersi subito coro, o di venire adottata da una parte politica, di solito non quelle conservatrici, come è successo per “City of Blinding Lightsâ€, che richiama Obama, passando per “Vertigo†e “Sunday Bloody Sundayâ€. “Vertigoâ€, in particolare, è un coro che sa di rivolta con lo stadio che vibra e pulsa, accompagnando Bono con l’entusiasmo liberatorio del rock.
Ma se “The Unforgettable Fireâ€, l’immagine dei fiumi gelati, opposti allo splendore d’oro e d’argento delle città , trafigge lo stadio, una versione straordinaria di “I’ll Go Crazy If You Don’t Go Crazyâ€, lo sciabola con una danza ipnotica, come una discoteca da millenni futuri, con la folla del Camp Nou risucchiata nel vortice di suoni e tamburi. In realtà nell’intenzione degli U2la gioia dovrebbe muovere le moschee come le montagne, e così le sinagoghe, le chiese e i templi di qualsiasi altra confessione. “Go Crazy†è una percussione che si insinua nel cervello, che parla molte lingue, vola a una velocità più alta delle cronache, le supera con il ritmo, sembra uscita da una bazar del Nord Africa, per scivolare ancora nel mondo occidentale, ma a quel punto novantamila persone sono saldate in una vibrazione unica. E quando Bono intona “Sunday Bloody Sunday†sarà lo stadio a rubargli la scena in nome di tutte le rivolte finite nel sangue. Se l’artiglio-tempio è memorabile perché splende nella notte, gli U2 sono semidei che forgiano sentimenti, lanciati come fulmini dal grande schermo circolare, come un bulbo rovesciato, che fascia la pancia del mostro. Idee, appunto, che Desmond Tutu, religioso africano inarrestabile, ricorda con una predica biblica sulla carità cristiana e sul vecchio principio, purtroppo disatteso dalla notte dei tempi, che il nostro fratello più sfortunato in realtà è l’altra parte di noi stessi. Luci che si riaccendono, nel cuore, con “Ultra Violetâ€, molto applaudita perché non c’è mai dal vivo. Quindi “Where the Streets Have No Nameâ€, “With or Without You†e una solenne, ma intima, “Moment of Surrender†folgorano l’artiglio. O forse è solo un’illusione.
tortarolo@ilsecoloxix.it
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