Ai tempi della scuola si era soliti dire: “Se avessi solo un’ora da vivere la passerei ad una lezione di statistica, lì il tempo sembra non finire mai“, ma stavolta la statistica parla chiaro e forte e ci fa capire come siamo definitivamente passati dall’era del possesso all’era dell’accesso: i ricavi derivati dallo streaming superano per la prima volta quelli della vendita dei CD, principale fonte di finanziamento dagli anni ’90 per l’industria musicale.
La Recording Industry Association of America (RIAA) rileva che nel 2014 negli USA gli incassi derivanti dalle vendite di musica in streaming sono stati pari a 1,87 miliardi di dollari, mentre quelli dei CD si sono fermati a 1,85 miliardi di dollari. In questi 1,87 miliardi sono compresi i ricavi provenienti da abbonamenti dei servizi come Spotify, Deezer, Beats Music, Pandora, ma anche quelli derivati dalle pubblicità di piattaforme come YouTube e Vevo.
Il primato resta sempre in mano al download (principalmente con iTunes), anche se in calo, con un giro di denaro che arriva a 2,6 miliardi. Nel giro di 5 anni lo streaming è insomma passato dal 5% al 27% della ‘torta’ dell’industria musicale. Sottolineiamo nuovamente che i dati sono relativi agli Stati Uniti, ma è facile intuire che lo stesso andamento nonché mutamento dell’utente musicale medio si possa notare anche da noi: secondo i dati presentati a gennaio dalla Federazione Industria Musica Italiana, nel nostro Paese i servizi streaming sono cresciuti dell’80% nel 2014.
Questa novità riporterà sicuramente alla ribalta il problema legato ai proventi dei diritti d’autore correlati ai servizi streaming considerati ancora inadeguati dalla maggior parte degli artisti: il caso più recente è Björk che ha impedito la presenza online del suo ultimo album ‘Vulnicura’.
INDIE-ROCK.IT
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