Il chitarrista degli Strokes ritorna al pop efficace degli esordi grazie alla ritrovata spensieratezza di AHJ, terza opera da solista
MAURIZIO AMORE (NEXTA) lastampa.it
A distanza di qualche mese dalla pubblicazione del melanconico “Comedown Machine”, quinto e deludente album degli Strokes, è con il nuovo EP di Albert Hammond Jr, intitolato AHJ che si riaccende la fiamma della band newyorkese. Già autore di due album in assoluta solitudine, ovvero “Yours to Keep” e “¿Cómo Te Llama?”, rispettivamente del 2006 e del 2008, il chitarrista ritorna al pop efficace degli esordi in un periodo in cui la band culto degli anni 2000 sembra aver perso definitivamente il suo slancio vitale.
Senza esagerare, infatti, bisogna ammettere che l’arrivo sulle scene musicali degli Strokes, proprio quando l’elettronica stava per prendere il sopravvento, aveva sortito l’effetto di una tempesta rinfrescante. Provenienti dalla classe media gli Strokes conoscevano alla perfezione tutti gli elementi che caratterizzavano i miti del rock, come l’attitudine, il suono, l’arroganza, il perfetto dosaggio fra le strutture pop tradizionali e l’elettronica, assieme a testi lineari. In un solo disco “Is this it” (2002) , la band aveva inglobato tutta l’eredità che era stata lasciata loro dai più illustri musicisti newyorkesi della storia del rock come ad esempio la propensione alle droghe dei Velvet Underground, gli inni da stadio alla Blondie o l’estetismo dei Television. Purtroppo oggi la band sembra non essersi ancora ripresa da quel famoso album d’esordio. Non ci sono infatti grandi rivoluzioni in Comedown Machine, a parte l’interesse di Julian Casablancas per il falsetto, una strizzatina d’occhio agli anni ’80 e qualche titolo rock più energico.
Ma Albert Hammond pubblica un album carico dei tipici riff stroksiani che invece mancano totalmente al quinto lavoro del gruppo newyorkese. Prodotto dal suo amico e collaboratore di vecchia data Gus Oberg e registrato negli studi personali dello stesso chitarrista a Manhattan, AHJ è un disco melodico e ritmato che resuscita il rock tipico dei Bar della Grande Mela con una facilità impressionante. Nella tracklist ritroviamo così la trascinante St. Justice, dall’impareggiabile refrain, il dream pop di Strange tidings, e anche la rassicurante Rude Customer . Le tipiche chitarre pulite e affilate alla Strokes sono onnipresenti, mentre l’idea di spensieratezza generale dona a tutto l’album una leggerezza ormai perduta negli ultimi lavori della band.
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