RICERCA SVOLTA DALL’UNIONE EUROPEA
«La pirateria non danneggia la musica»
Chi scarica illegalmente comunque non comprerebbe i file ufficiali. Secca smentita dall’industria musicale
MILANO – Contrordine, discografici. Per anni si è detto che i download illegali di canzoni avrebbero dissanguato l’industria musicale, ma ora viene fuori che la pirateria online non fa poi così male alle vendite. L’affermazione choc è tanto più sorprendente perché arriva indirettamente dall’Unione Europea, ovvero da uno studio svolto per conto della Commissione da un suo organo tecnico, il Joint Research Centre. Che cerca di capovolgere la prospettiva con cui di solito si affronta la questione del rapporto tra la pirateria e le vendite di musica, gettando benzina sul fuoco su un dibattito già molto acceso e riassumibile in due domande: quanto influisce il download illegale di canzoni sui ricavi dell’industria discografica? E soprattutto cosa ci dice del comportamento e delle propensioni dei consumatori? Sebbene siano stati compiuti molti studi sul tema, la pubblicazione di questo ultimo rapporto conferma una volta di più come non ci sia una risposta chiara e univoca al riguardo. E induce una certa cautela nell’adozione di politiche eccessivamente repressive. Ma veniamo allo studio.
LO STUDIO – L’indagine, condotta dai ricercatori Luis Aguiar e Bertin Martens, ha analizzato i click su un certo numero di siti musicali di un campione di circa 16mila utenti divisi tra cinque Paesi: Italia, Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna. La conclusione degli autori è che «la pirateria musicale digitale non dovrebbe essere considerata una crescente preoccupazione per i detentori di copyright (…). Sembra che gran parte della musica consumata illegalmente dagli individui del nostro campione non sarebbe comunque stata acquistata, anche nel caso in cui non fossero stati disponibili i siti di download illegale».
I RISULTATI – Insomma, per citare ancora le loro parole: «La pirateria musicale digitale non rimpiazza gli acquisti di musica legale in formato digitale». Quest’ultima precisazione è importante. Gli autori spiegano che qui non si prendono in considerazione le vendite di cd ma solo quelle che avvengono attraverso gli store online, quelle in cui la musica è veicolata attraverso dei file e non dei supporti fisici. In tal caso, la pirateria non fa affatto diminuire le vendite, sostiene il rapporto: “Un 10 per cento di incremento di click sui siti di download illegale corrisponde a un aumento dello 0,2 per cento di click sui siti di acquisti legali». Ma un altro dato interessante dello studio è l’effetto dei servizi di streaming (legittimi, come Spotify) sulle vendite: una crescita nel loro utilizzo corrisponde a un (modesto) aumento degli acquisti di brani.
LE CRITICHE DELL’IFPI – Contro l’indagine europea si sono subito levate le bordate dell’industria discografica internazionale, rappresentata dall’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry). «Lo studio contiene errori significativi e perciò è fuorviante nelle sue conclusioni sull’impatto della pirateria», ha dichiarato Frances Moore, direttore generale dell’organizzazione. Per i discografici ci sarebbero alcune falle nell’analisi: la principale è che i dati dello studio sono ricavati solo dai click e dalle visite ai siti musicali da parte degli utenti, e non da transazioni economiche effettivamente compiute. Inoltre, sostengono, lo studio prende in considerazione soltanto i download come fonte di ricavi per l’industria e non le varie forme di abbonamento o di streaming sostenuto dalla pubblicità che costituiscono in Europa il 30 per cento del fatturato digitale.
Carola Frediani
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