Descrivere un disco come basato su un’interpretazione vocale tagliente ed abrasiva dalle melodie tutt’altro che compiute, accompagnata da un suono prettamente chitarristico cupo ed altrettanto ruvido, potrebbe far credere che questo esordio dei veneti ManzOni possa essere accostato in qualche modo allo stile dei Massimo Volume, oppure di Le Luci Della Centrale Elettrica. Per fortuna, l’ascolto vale sempre più di mille parole, e sarà quindi subito chiaro a chi vorrà approcciarsi a questi 9 brani che in realtà non è facile trovare dei riferimenti precisi per essi, e che se proprio fosse necessario farlo, avrebbe più senso menzionare il tormentato songwriting blues di Vic Chesnutt, visto che questo disco, musicalmente parlando, di italiano non ha niente. Ci sono, infatti, quattro musicisti, che si cimentano tutti alla chitarra ma che possono, a turno, accomodarsi alla batteria: il fatto, comunque, che ci sano sempre almeno tre linee diverse della suddetta chitarra rende il tessuto sonoro tanto omogeneo quanto articolato, con il termine “tessuto†che qui è molto meno metaforico del solito, dato che le sovrapposizioni tra le diverse trame disegnate dai singoli chitarristi dà proprio l’idea di qualcosa di consistente ma anche estremamente flessibile ed adattabile alla soggettività della suddetta interpretazione vocale, così come il tessuto si adatta alla forma del corpo di chi lo indossa. Il tutto, come dicevamo, all’insegna di un senso di oscurità e disagio posti in un contesto blueseggiante moderno.
Poi ci sono le ambientazioni create dalla voce di Gigi Tenca, un semi esordiente di 57 anni che corrobora le caratteristiche della parte musicale non soltanto con un timbro vocale perfetto nel suo risultare non completamente definito in modo da fondersi con le chitarre, senza stagliarsi inutilmente sopra di esse. Soprattutto ci sono le cose che Tenca ci canta, o ci declama, o cosa volete voi: sono racconti della quotidianità di un uomo che ama le piccole cose tipiche della provincia italiana, dove è più facile che venga voglia di trascorrere lunghe ore in vecchie osterie fumose in compagnia di una bottiglia di quello buono, e che ha la tempra per superare le avversità della vita, ma non prova a fare il duro sminuendole. Tenca non ha problemi a mostrare la propria debolezza, a guardare al lato negativo delle cose, ad ammettere che si può essere forti contro il destino solo nella misura in cui esso ce lo permette. E se, in casi come questi, si dice che i racconti sono talmente realistici che ognuno di noi potrebbe immedesimarsi in essi, qui non è così, nel senso che le storie sono così intime che la reazione naturale è quella di rispettare la soggettività dell’autore, ascoltando le storie con grande partecipazione ma lasciando a lui, ed a lui solo, le sensazioni espresse da queste canzoni.
Basterebbe solo il testo di ‘…E Scrivo’ per far capire a chi legge e non ha mai ascoltato il disco cosa si deve aspettare. “Ho scritto d’amori perduti, voglio liberarmene, d’amore non voglio più scrivere. Sono stanco di immaginare la mia morte, di morte non voglio più scrivere. Sono stanco di scrivere di ideali sconfitti e di mancate vittorie. Io sono stanco di scrivere con le lacrime, voglio scrivere con il sorriso di colori che non siano il nero. E scrivo di campi di colza che non hanno bisogno di dio per essere così gialli, del bianco dei fiori di sambuco…e del rosso tra il frumento di mille papaveri, del breve sonno fatto tra una fermata e l’altra in una corriera blu. Delle pagine rosa di un giornale, di cuffie viola per ascoltare musica. Di una strada vista ogni giorno da un finestrino… e del grigio della nebbia, dell’acqua alta…calli strette di ombrelli arcobaleno che non servono a fermare la pioggia, della luce al neon …di un call center in una città dove il sole non illumina. Vedi, io alla fine scrivo sempre in nero, io non so ridere mentre scrivo. Non servo a niente, devo liberarmi di me. A I U T O! A I U T O!â€.
Se leggendo queste parole riuscite ad immaginare il modo in cui esse potrebbero essere cantate, probabilmente è proprio quello, e se poi vi sforzate di pensare a come potrebbe suonare una canzone con questi tipo di cantato, forse anche qui riuscireste ad indovinare. Sarà solo ascoltando il disco, però, che potrete vivere questo viaggio unico nel suo genere, che esalta quelle che dovrebbero essere le caratteristiche più estreme della canzone d’autore: l’intimità e la mancanza assoluta di compromessi.
Ndr oggi invece voglio andare alla scoperta di questo artista e anche di Samuel Katarro,Mozart sempre in sottofondo, ora ho die Zaubeflòte eh eh eh eh
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